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DaD, non solo scuola. Nelle università è boom e le iscrizioni aumentano
La digitalizzazione imposta dalla pandemia piace agli studenti e favorisce il diritto allo studio. Ne parliamo con Alberto Felice De Toni, presidente della Fondazione CRUI: “Un passo avanti nel sistema pubblico, speriamo nel PNRR”.
La didattica digitale ha un grande potenziale: quello di rendere l’università più innovativa, performante e inclusiva. I dati sulle immatricolazioni e le opinioni espresse dagli studenti lo confermano, ma sono molti gli ostacoli che la inibiscono; dagli aspetti sociali dovuti alla mancanza di relazioni faccia a faccia con i docenti e con i pari alla debolezza delle infrastrutture tecnologiche. E a quell’imprescindibile diritto allo studio che viene in gran parte ancora disatteso.
Procediamo per gradi e torniamo a quel mese di marzo dell’anno scorso in cui tutto è cambiato. A causa del COVID-19 le università hanno chiuso i battenti, ma nel giro di poche settimane la magia si è compiuta: la didattica universitaria, gli appelli di esami e laurea e persino le riunioni collegiali si trasferiscono online.
“Siamo riusciti in breve tempo a rendere tutte le università telematiche. Non era affatto banale attivare tutti i corsi e registrarli in tempo reale, rendendoli immediatamente disponibili. È stata un’operazione grande”, spiega Alberto Felice De Toni. Presidente della Fondazione CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), De Toni è stato rettore dell’Università di Udine, dove attualmente è professore ordinario di Ingegneria Economico-Gestionale sul tema della complessità nelle organizzazioni. È anche direttore scientifico di CUOA Business School, presidente del comitato ordinatore della Scuola Superiore della Difesa e membro sia dello Strategic Steering Committee dell’EUI (European University Institute) che dell’Academia Europæa.
A lui abbiamo chiesto se questa nuova modalità di fare didattica verrà mantenuta anche dopo la pandemia.
Università, digitali anche dopo il COVID-19? “Nessun dilemma, la risposta è univoca”
Fin da subito, la didattica online è stata spesso al centro di polemiche, tra valutazioni osannanti e ingiuste demonizzazioni. A ben guardare, questa modalità ottiene il favore proprio della categoria maggiormente coinvolta: gli studenti. Numerosi sono infatti i vantaggi; oltre a essere più raggiungibile dai non frequentanti per motivi economici o fisici, permette di far convivere con più facilità il lavoro e lo studio.
“Gli studenti li abbiamo avuti a fianco, non contro”, racconta De Toni. “Ci chiedono di ripristinare le lezioni in presenza, ma di mantenere contestualmente anche le lezioni in remoto. Dunque un sistema doppio, duale, e siccome questa richiesta non è di pochi, ma di molti, credo che andremo verso questa direzione. A chiederlo sono sia gli studenti non frequentanti, perché lavorano o hanno problemi di varia natura, che quelli che frequentano in presenza, perché ritengono che avere a disposizione le lezioni registrate – insieme a tutto il materiale didattico – sia un grande avanzamento”.
Proseguendo la nostra conversazione con De Toni scopriamo che un piano per la digitalizzazione delle università era già stata messo a tema nel 2018.
“In tempi non sospetti già sapevamo che era un’esigenza, e nell’ambito dei Magnifici incontri 2018 abbiamo elaborato il Piano Nazionale Università Digitale. Qui, avevamo elencato molte discipline per ampliare l’offerta formativa. Tra queste: lo sviluppo degli ambienti digitali di apprendimento, il tema dell’open access, la digitalizzazione delle biblioteche e l’ampliamento dei cosiddetti MOOC (Massive Open Online Course). Mi auguro che nel PNRR ci siano i fondi per fare parte delle azioni che avevamo immaginato.”
I limiti sociali (e neurali) della DaD
Ad ogni modo, non dimentichiamoci che l’università è anche socialità, comunità di intelligenze, relazioni empatiche e chiacchierate di fronte alle macchinette del caffè. Una dimensione che si perde, con la didattica a distanza.
“La DaD è meno empatica, questo è evidente”, chiosa De Toni. “Il problema non è solo la lezione in sé; fare didattica in presenza crea una relazione extra lezione, e dunque, anche, una minor timidezza nel fare domande. Poi c’è un problema in più: fare i lavori di gruppo in teledidattica è più difficile e meno socializzante”.
A tal proposito, le neuroscienze dicono che i sistemi di videocomunicazione hanno un impatto negativo sui nostri processi identitari. Come spiega Giuseppe Riva, professore di psicologia della comunicazione all’Università Cattolica di Milano, ciò è dovuto alla inattivazione dei neuroni specchio, alla base del rispecchiamento empatico, e a quella dei neuroni GPS, responsabili della cosiddetta placeness (senso di luogo).
Queste mancanze, però, non sono insormontabili. Anzi. Le tecnologie e la letteratura a nostra disposizione forniscono una molteplicità di soluzioni.
Alcune piattaforme si stanno già evolvendo per incrementare l’interattività e i processi empatici. Per esempio Skype e Microsoft Teams, grazie all’intelligenza artificiale, hanno sviluppato la “modalità together”, che ritaglia le sagome dei partecipanti e le colloca all’interno di un ambiente condiviso. Un’altra possibilità, invece, è quella di sfruttare il potere simulativo della realtà virtuale.
Diritto allo studio, i divide non sono solo digital
Non tutti gli studenti hanno avuto e continuano ad avere le stesse opportunità. Alcuni hanno sofferto la mancanza di uno spazio in cui studiare, di dispositivi tecnologici adeguati e l’assenza di una linea internet veloce.
Spesso, infatti, si è sentito parlare di digital divide, problemi legati alla copertura della fibra che si evidenziamo soprattutto nella diversa distribuzione delle infrastrutture tra zone urbane e zone rurali, e anche tra il Nord e il Sud d’Italia. Ma i divide che sembrano pesare maggiormente non sono quelli di natura tecnologica, bensì economica. Questo porta a un argomento ancora attuale e urgente: il diritto allo studio.
“Il diritto allo studio è una questione seria. Il problema vero non è tanto la disponibilità della rete, bensì i costi connessi”, chiarisce De Toni. “Il canone fisso della fibra si somma ai tanti costi che già gravano sulle spalle delle famiglie: da una parte abbiamo le tasse, che scoraggiano le famiglie con problemi economici; dall’altra bisogna fare i conti con i pochi posti nelle residenze universitarie. I costi veri per chi intende fare l’università in presenza sono proprio quelli di pernottamento, ma i servizi – anche regionali – di diritto allo studio non riescono a coprirli. Mentre l’Italia arranca, Paesi ricchi come la Germania adottano misure più forti”.
I dati infatti parlano chiaro: sul fronte dell’istruzione terziaria siamo in forte ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Penultimo in classifica, seguito solo dalla Romania, il nostro Paese conta il 27,8% di laureati rispetto a una media europea del 40%. Guardando le indagini nazionali di Almalaurea e ANVUR, scopriamo che solo quattro neodiplomati su dieci si immatricolano all’università e di questi circa il 12% abbandona gli studi tra il primo e secondo anno.
Inoltre l’Italia, secondo l’ultimo rapporto Eurydice, è anche il fanalino di coda in tema di diritto allo studio. Mentre in Germania – tra i Paesi più ricchi – non ci sono tasse di iscrizione né nel primo né nel secondo ciclo, qui pagano le tasse circa il 73% degli studenti con un ammontare che oscilla tra i 200 e i 2.906 euro, in base all’ISEE.
La ciliegina sulla torta è il fenomeno dei “beneficiari, non idonei”, ovvero quegli studenti che pur avendo pienamente diritto a una borsa o un alloggio non ne usufruiscono per carenza di fondi. Insomma: un divide (costi insostenibili e poche borse di studio) tira l’altro (pochi laureati).
Il COVID-19 costringe le università alla digitalizzazione. E le iscrizioni aumentano
In mezzo a tante fragilità, la digitalizzazione sembra rappresentare una svolta per un’istruzione più inclusiva.
“È da notare che prima avevamo un altro grande divide tra chi poteva permettersi di andare alle università private per avere un servizio diverso, da remoto, e chi no”, aggiunge De Toni. “Adesso invece non è più così: tutte le università sono diventate di fatto telematiche. Direi che è un passo in avanti nel sistema pubblico”.
Quindi, ricapitolando, la pandemia da COVID-19 ha finalmente dato la spinta necessaria a far diventare la didattica digitale parte fondamentale del percorso di istruzione universitaria.
Non ci resta che considerare un ultimo dato: quest’anno, contro ogni attesa, le iscrizioni alle università sono aumentate del 6%. Le novità apportate sono state: la digitalizzazione della didattica, l’ampliamento della no tax area e delle fasce reddituali.
Se non è questa la prova provata delle direzioni da intraprendere, quale mai potrebbe essere?
Photo credits: unitelematiche.it
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