Nello stabilimento simbolo della Torino operaia si parla di riallocazione degli spazi, dopo un’emorragia di lavoratori che non sembra destinata a fermarsi: oggi sono 10.000, vent’anni fa erano il doppio. Le opinioni di Gianni Mannori della FIOM CGIL e dello storico e scrittore Marco Revelli.
Decreto sostegni: crisi del commercio e del calcio, non è una guerra tra poveri
Anche il mondo del calcio rivendica sostegni dalla politica e poche ore fa, davanti alle telecamere di 90°Minuto, la Sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali rassicurava così: “Presto un decreto ristori anche per le società sportive”. Un passo indietro, però. La lettera ai Ministeri del Trasporto e del Turismo firmata da Fipe-Confcommercio a inizio 2022 parla […]
Anche il mondo del calcio rivendica sostegni dalla politica e poche ore fa, davanti alle telecamere di 90°Minuto, la Sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali rassicurava così: “Presto un decreto ristori anche per le società sportive”.
Un passo indietro, però.
La lettera ai Ministeri del Trasporto e del Turismo firmata da Fipe-Confcommercio a inizio 2022 parla chiarissimo e i numeri a supporto della richiesta sono impietosi: nel 2020 i consumi nella ristorazione sono calati del 37,4%, che vuol dire meno 32 miliardi di euro rispetto al 2019. Vanno aggiunti il 28% dei consumi andati in fumo nel 2021 rispetto all’anno pre pandemia: tradotto, vuol dire 24 miliardi per un totale di 56 miliardi di euro non spesi da famiglie e turisti dentro i pubblici esercizi. Un totale che comprende sia italiani che turisti stranieri. E i numeri delle imprese fanno ancora più effetto: 45mila sono scomparse in meno di due anni e superano i 300mila coloro che hanno perso il lavoro.
FIPE-Confcommercio: “Una richiesta surreale”. Cristiano Carriero: “Apparantemente assurda ma serve per competere con lo sport europeo”
Luciano Sbraga, Direttore del Centro Studi FIPE-Confcommercio, commenta a caldo per SenzaFiltro il battere cassa delle società sportive: “La richiesta di ristori a seguito della riduzione della capienza degli stadi appare surreale: mentre migliaia di aziende hanno chiuso e rischiano di chiudere e centinaia di migliaia di posti di lavoro sono stati cancellati e hanno dovuto fare i conti con la cassa integrazione, le società di calcio trovino al loro interno le modalità per rendere sostenibile il proprio business che, tra l’altro, ha potuto godere in questi anni dei lauti introiti dovuti ai diritti televisivi”.
Per capire meglio da dentro come girano le logiche sportive, abbiamo raggiunto Cristiano Carriero, giornalista che si occupa di calcio e di cultura del lavoro in quel campo. Campo, parola non a caso.
“La richiesta dei ristori è una richiesta che chiaramente va nella direzione di quello che le aziende stanno facendo in generale in Italia a causa della pandemia: è ovvio che le società di serie A e di serie B sono aziende a tutti gli effetti e sono aziende con dei monti stipendi molto, molto alti, soprattutto in serie A. Anzi, meglio: in serie A ci sono dei monti stipendi altissimi per le squadre di prima fascia – Juventus, Inter e Milan ma soprattutto Juventus e Inter sono due squadre che negli anni hanno investito male e quindi hanno creato in ogni caso dei monti ingaggi molto pesanti (su tutti, il caso di Cristiano Ronaldo ma anche quello di Dybala che arriva a chiedere dieci milioni l’anno, una cifra assolutamente non adeguata a quello che è il momento del calcio italiano). Dall’altra parte c’è un un movimento di squadre europee che possono continuare a permettersi di offrire quelle cifre: la prima è senz’altro il Bayern Monaco ma anche le squadre della Premier League inglesi. Ovvio che se vuoi rimanere competitivo e vuoi tenere i migliori giocatori ci sono solo due strade: la prima è continuare a dare quegli stipendi, la seconda è investire sulle idee, sul calcio giocato in una certa maniera e questa è la strada che per esempio sta prendendo l’Inter che ha rinunciato a giocatori importantissimi l’estate scorsa però ha provato a dare una nuova identità”, commenta Carriero.
“Detto questo, chiaramente le società stanno perdendo pubblico perché le restrizioni e le norme che conosciamo bene – non ultima, la recentissima regola che ci ha riportati ai cinquemila spettatori massimi di capienza per ogni stadio – di fatto hanno svuotato gli stadi, San Siro ospita più di ottantamila persone e l’Inter ogni anno fa ottantamila abbonati, la Juventus ne fa meno perché lo stadio è più piccolo e perché ha una diversa politica e strategia pur puntando tantissimo sul proprio piano di abbonamenti: senza stare ad analizzare la morale del giusto o sbagliato, le società sono state penalizzate come ogni altra industria e questo vale per le grandi come per le piccole, ma vale soprattutto per le squadre di serie B che non hanno gli incassi televisivi delle altre e che da sempre puntavano sul fattore pubblico quindi abbonamenti e biglietti. Da questo punto di vista, e ripeto strettamente da questo punto di vista, è innegabile che la richiesta dei ristori sia legittima: certo ci sono stati settori della cultura, dello spettacolo e dell’intrattenimento che sono stati meno agevolati; il calcio è ripartito l’anno scorso senza pubblico ma comunque è ripartito. I concerti non sono ripartiti così come il cinema, già penalizzato dalla presenza di Netflix e Prime, ha risentito fortemente della crisi. Il calcio è una delle prime industrie italiane ed è per questo che è stato molto sostenuto, oltre che essere una delle passioni più importanti di tutti gli italiani. Credo che le società si trovino non tanto a esprimere un capriccio, perché la richiesta di ristoro può in effetti sembrare assurda, quanto la volontà di voler comunque continuare a competere con quelle che sono le società europee, soprattutto le inglesi e la tedesca per esser chiari. Altro discorso per la Spagna che ha problemi molto simili ai nostri e gioca sul nostro stesso piano di difficoltà”.
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