Il giornalismo è mobile, ma uno smartphone non basta

L’evoluzione della rete e del web ha portato alla nascita di nuove figure professionali per il mondo dell’informazione e della comunicazione. Sono i news-maker: giornalisti e comunicatori multimediali, ossia coloro che la notizia la costruiscono o la riportano sulle varie piattaforme, rispettandone i linguaggi e le tecniche di narrazione audiovisiva. Dopo le singole professioni dell’audiovisivo […]

L’evoluzione della rete e del web ha portato alla nascita di nuove figure professionali per il mondo dell’informazione e della comunicazione. Sono i news-maker: giornalisti e comunicatori multimediali, ossia coloro che la notizia la costruiscono o la riportano sulle varie piattaforme, rispettandone i linguaggi e le tecniche di narrazione audiovisiva.

Dopo le singole professioni dell’audiovisivo (operatore di ripresa, montatore, fonico), i fotografi e i fotogiornalisti, vi è un’altra figura professionale che unisce il giornalismo alle competenze tecniche delle maestranze dell’audiovisivo: il giornalista videomaker.

I tempi che viviamo non sono facili per i professionisti dell’informazione e della comunicazione. Sono più di dieci anni che il mercato editoriale è in contrazione, provocando continui ribassi ai compensi economici. In parallelo, l’evoluzione tecnologica e l’avvento di Internet ha portato alla nascita di nuove figure professionali, come quella del giornalista videomaker, appunto: un giornalista (iscritto all’albo dei giornalisti nell’elenco pubblicisti o professionisti) che è anche in grado di girare le immagini e di montarle per realizzare un video-servizio completo. Dunque una figura di sintesi di quattro professionalità dell’audiovisivo ben distinte, ad oggi ancora esistenti e operative: operatore di ripresa, fonico, montatore e giornalista.

 

GV Press: l’associazione italiana per i giornalisti videomaker

Una giovane figura professionale figlia della modernità e dell’evoluzione dei tempi tecnologici, che però non ha ancora una sua regolamentazione. Nasce quindi GV Press, affinché la figura del giornalista videomaker, ormai diffusa in molti ambienti di lavoro, venga finalmente riconosciuta all’interno delle redazioni giornalistiche, degli uffici stampa, degli enti istituzionali e non solo.

Tra gli obiettivi da raggiungere, secondo quanto definito dallo statuto:

  • Stipulare protocolli d’intesa con organismi istituzionali, economici, religiosi e sociali;
  • garantire il diritto di accredito in tutte le sedi per i giornalisti videomaker (anche per i freelance che aderiscono all’associazione);
  • promuovere l’interazione e il confronto tra giornalisti videomaker, per favorire la crescita professionale della figura;
  • garantire l’adeguatezza dei compensi del giornalista videomaker (freelance o inserito all’interno di una redazione tramite qualsiasi tipo di contratto di lavoro) in relazione alla sua specificità professionale e alla natura giornalistica dell’attività svolta;
  • giungere alla definizione della categoria dei giornalisti videomaker all’interno del Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico.

 

 

“L’associazione è nata nel 2017 e si occupa dei giornalisti videomaker, una professione nuova che non ha le dovute regolamentazioni”, spiega Simona Berterame del direttivo GV Press, e sottolinea che “recentemente abbiamo fatto un sondaggio ed è emerso che più della metà dei nostri iscritti sono freelance. La fase di emergenza che stiamo vivendo non fa ben sperare. Molti, precari, hanno avuto già una riduzione del proprio compenso nei mesi di emergenza sanitaria”.

Così come già testimoniato dagli audiovisivi, durante il periodo di lockdown, in talune occasioni (come il Ponte Morandi di Genova e la liberazione di Silvia Romano) si sono verificati casi di assembramento per i quali anche GV Press ha sottolineato l’inadeguatezza della logistica per lo svolgimento del lavoro della stampa in maniera adeguata alle misure di sicurezza.

 

Il percorso professionale e di sviluppo del giornalista videomaker

“Il giornalista videomaker, per realizzare le immagini, usa videocamere, smartphone, go pro, e monta il servizio. L’ufficio è lo zaino dove abbiamo la nostra attrezzatura, e il computer per poter consegnare il servizio alla redazione”, spiega Simona Berterame, e aggiunge: “Non deve passare il messaggio che la figura del giornalista videomaker sia in contrasto con le figure classiche di operatore di ripresa, montatore, fonico, perché devono coesistere ed essere bilanciate. Ci sono contesti in cui è fondamentale la presenza di una troupe televisiva perché fa la differenza sul prodotto finale. Il senso dell’Associazione è che ci siamo e che abbiamo bisogno di essere riconosciuti in modo degno”.

Sulla stessa frequenza anche Enrico Farro, presidente Associazione Nazionale Filmaker e Videomaker Italiani: “L’audiovisivo è un linguaggio, e come tale ha tante persone che lo scrivono e lo parlano con diversi mezzi; a seconda dell’ambito subisce varie connotazioni in base alla forma e al genere di racconto che si fa con il video. Abbiamo diversi professionisti che apparentemente fanno lo stesso lavoro, ma che producono racconti e generi diversi. Ad esempio, mi definisco ‘filmaker’ quando scrivo, giro, monto e confeziono un racconto, mentre ‘videomaker’, quando costruisco e realizzo le immagini per la storia che mi hanno assegnato da raccontare. La grande differenza rispetto al passato è che prima le diverse mansioni, professionalità, ruoli e categorie erano separate, mentre oggi, per progetti semplici, possono anche essere racchiusi in un numero minore di risorse umane”.

 

“Penso che i migliori operatori siano quelli che non filmano in base al loro senso estetico, ma coloro che sanno costruire un racconto in base al girato realizzato. Tutti gli operatori, i migliori che ho conosciuto, sono degli ottimi montatori. Conosco più operatori attenti alle regole del montaggio, come ad esempio lo scavalcamento di campo, che registi. I migliori operatori sono coloro che girano le immagini secondo una sequenza spazio-temporale avendo a mente i raccordi di montaggio.”

Durante il periodo di emergenza sanitaria anche gli eventi di formazione in aula si sono riversati nelle aule virtuali. “Il COVID dimostra la necessità di pensarsi anche in altro modo. Questo non significa affatto demolire i diritti del passato, ma rendersi conto che il prodotto giornalistico è anche mobile (non ci sono le tipografie e le stampe di una volta) e che i lavoratori sono anche nomadi, in grado cioè di rinnovarsi cambiando pelle; non dismettendo le vecchie abitudini, ma reinventando le capacità, le skills, le competenze di questo mestiere. Stampa Romana crede fortemente nella formazione”, spiega il segretario Lazzaro Pappagallo, che specifica: “Da cinque anni proponiamo costantemente corsi e offerte, anche a pagamento, per migliorarsi. Anche in questo periodo abbiamo sperimentato, con due mesi fittissimi di webinar gratuiti, la capacità e la possibilità di parlare con contenuti di grande qualità al mondo dei colleghi bloccato a casa davanti a un computer. È la nostra capacità di rendere vivo il sindacato, creando una comunità ampia, partecipata e consapevole. Una strada che vogliamo continuare a percorrere insieme”.

“Essere ‘filmaker’ dovrebbe essere una filosofia di conoscenza”, commenta Enrico Farro. “Immagino che il futuro che ci aspetta vedrà sempre meno una distinzione tra regista, operatore e videomaker. È importante conoscere sia le problematiche tecniche che di linguaggio. Sostengo che sono tre i film che si fanno: uno è quello che si scrive, uno è quello che si gira e uno è quello che si monta, e poi c’è il quarto film, che è quello che guardano i tuoi spettatori; ma ognuno di loro quel film lo fa proprio, e diventa qualcosa che fa parte della storia degli altri. Lo sguardo al passato recente e al presente è la condivisione con Lazzaro Pappagallo, segretario di Stampa Romana: se come associazione e come sindacato vogliamo dare una speranza alle persone bisogna investire nella formazione. Non possiamo pensare di risolvere problematiche se non siamo pronti con le competenze. Abbiamo cercato di portare avanti questa scommessa”.

 

Il mobile journalism, il nuovo linguaggio dell’audiovisivo

Smartphone con hardware sempre più performanti hanno permesso fin dal 2009 che il “telefonino” venisse utilizzato al posto di una reflex o videocamera, anche per documentare con le immagini la cronaca dei fatti. Oggi, da qualche anno, è uno strumento che permette di realizzare servizi giornalistici di buona fattura. E non solo, anche film. Sempre più storyteller e giornalisti nel mondo lo scelgono come strumento per le loro narrazioni.

“Io vedo il presente del mobile journalism, che è un canale per entrare in un linguaggio complesso. Il MoJo è una potenza: è la possibilità, con uno smartphone, di raccontare storie in video”, dice Enrico Farro, e continua: “Il video, nel 2020, è un linguaggio, e durante la pandemia ci è servito a comunicare”. Un esempio della potenza dello strumento guidata da tecnica, competenza e cultura della materia audiovisiva e giornalistica è stato il video COVID Psycho, realizzato in sole otto ore, come risultato finale di un project work sul mobile journalism con tema COVID-19.

backstage corto CovidPsycho

 

Ma come è stato già detto, anche nell’intervista con il portavoce ASA, Günther Pariboni, bisogna studiare. Un invito condiviso anche da Enrico Farro: “Il messaggio che bisogna dare è studiare. Sono dell’idea che non bisogna solo studiare la tecnologia. La formazione è importante perché ci permette di scegliere con quale strumento realizzare le immagini (videocamera o smartphone)”.

 

 

Photo credits: Salvatore Scotto Rosato SaSko,  Francesca Ferrara

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