Il capo sezione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria racconta il processo con cui ha trasformato delle carceri in centri di produzione di mascherine.
La mappa dei mestieri tra un check-in e un imbarco
Venezia. Sono le 9.42 di un giorno come tanti, e come in tanti altri giorni mi trovo all’aeroporto Marco Polo. Ci sono arrivata in corriera da Padova con i mezzi di Busitalia Veneto, Gruppo Ferrovie dello Stato, che da un paio d’anni ha rinnovato il parco mezzi ma ha tagliato le ultime corse della sera, […]
Venezia. Sono le 9.42 di un giorno come tanti, e come in tanti altri giorni mi trovo all’aeroporto Marco Polo. Ci sono arrivata in corriera da Padova con i mezzi di Busitalia Veneto, Gruppo Ferrovie dello Stato, che da un paio d’anni ha rinnovato il parco mezzi ma ha tagliato le ultime corse della sera, tanto care a me e a quanti, viaggiando spesso per lavoro, contavano su quegli ultimi mezzi pubblici della giornata per risparmiare il ricorso al taxi collettivo privato: 34 euro al posto di 8,50. Inoltre era proprio in quelle corse serali, silenziose e buie, che avevo avuto la possibilità di parlare con i primi lavoratori correlati al volo, cioè gli autisti di queste corriere – quelli che all’aeroporto ti ci portano.
Nessuno di loro ha mai voluto rilasciare un’intervista ufficiale per paura di perdere il posto, ma ogni volta che ho potuto conversarci hanno lasciato trapelare il malcontento verso le nuove politiche dell’azienda: il taglio dei rimborsi agli autisti per il “buco” tra una corsa e l’altra che costringe il dipendente a stare fuori casa per lavoro, sebbene fuori servizio. I mancati investimenti sul trasporto pubblico, leggibili anche nell’acquisizione delle nuove, modernissime corriere, che gli autisti si sono trovati a guidare senza una sola prova propedeutica, e anzi con i passeggeri della linea già a bordo, in pieno regime ordinario. Una volta ne incontrai uno così furioso e spaventato dall’idea della prima guida di quella corriera futurista, così diversa dalle precedenti, da non riuscire a regolare gli specchietti laterali in modo da vedere i semafori. Su sua richiesta, mi sono fatta sua assistente. Tra l’altro aveva il collo bloccato perché non aveva capito come si regolava l’aria condizionata.
Un viaggio nel viaggio: i mestieri aeroportuali
Ma questo è il passato. Adesso scendo dalla corriera mi prendo un carrello gratuito per caricarci i bagagli, che porto al check-in.
È qui che incontro “il primo mestiere”: l’hostess di terra (meno frequentemente uno steward). È il primo non-dipendente della società Save, che ha in concessione il Marco Polo. Lavora per la compagnia che mi farà volare. Si occupa di controllare i documenti, i bagagli, di spedirli, di fornire le informazioni di base sul volo. Sempre a lei il compito ingrato di spiegare per la miliardesima volta i limiti di peso a utenti che qualche volta non sanno, spesso ci provano, non di rado diventano aggressivi perché non intendono pagare il sovraprezzo per i troppi chili in più di bagaglio, rispetto a quanto pattuito dal biglietto. Deve cavarsela da sola perché, mi confida a denti stretti, “chiamare la polizia non serve. Non vengono”.
Spediti i bagagli e ottenuto il biglietto, saluto e mi avvio per incontrare il secondo mestiere. O meglio: il mestiere che non c’è più. L’ultima visione dei documenti prima del passaggio agli scanner per il controllo metalli su oggetti, trolley a mano e persone, è infatti affidato alle macchinette dei varchi elettronici che, attraverso il codice impresso sul documento di viaggio, valutano che tu sia nel posto giusto al momento giusto, e decretano il tuo diritto a procedere. Anche qui dunque, come già da anni in molti dei maggiori aeroporti europei, l’informatica ha sostituito quasi completamente la persona. Il privilegio di un saluto umano, che ti accoglie, ti visiona i documenti e ti augura buon viaggio, è rimasto solo ai titolari di specifiche carte fedeltà, che possono avvalersi del varco priority.
E siamo al controllo metalli. Recitando il mantra “pc tablet devono esser messi in una vaschetta a parte” e “liquidi al di sotto dei 100 ml esposti”, gli addetti procedono alle perquisizioni di rito. Non sono agenti di Stato, come ad esempio i poliziotti, ma GPG, cioè Guardia Particolare Giurata, ovvero guardie di sicurezza che, pur non essendo pubblici ufficiali, a seguito di un giuramento operano nel campo della vigilanza, previo apposito decreto che li incaricano di un pubblico servizio per mano della prefettura locale e delle autorità competenti. Sono comunque soggetti agli obblighi di legge del pubblico ufficiale, pur non avendone in pieno i poteri, e hanno ottenuto una formazione speciale dalle forze dell’ordine di Stato. Le GPG dipendono dalla Triveneto Sicurezza, la società che ha in carico la sicurezza del Marco Polo.
Controlli in aeroporto: che fine fa il materiale requisito?
La prima parte del controllo offre una vasta gamma di scene, da chi vuol passare distrattamente il metal detector con la cintura a fibbia metallica (e se ne va poi puntualmente con le braghe in mano rischiando di restare in mutande da un momento all’altro), a chi tiene in tasca il cellulare; fino a chi – quasi sempre stranieri –, colto con bottigliette di succo di frutta ancora piene, pensa bene di finire di sorseggiarle davanti all’arco dello scanner per le persone, noncurante dell’esercito di passeggeri inferociti costretti ad aspettare i suoi comodi. Come se i tempi aeroportuali non fossero già abbastanza snervanti di natura.
Il bazar che si forma nell’angolo del materiale requisito dalle GPG è sempre rimarchevole, con picchi di varietà nei periodi di carnevale e di maggior flusso turistico in generale – che nel caso di Venezia corrisponde a sempre. A parte le bottigliette d’acqua, ciclicamente vi si può trovare una maschera veneziana erta su un lungo bastone (fuori misura massima), un sestetto di vini pregiati (il passeggero lo voleva portare come souvenir dalla vacanza), ma anche oggetti molto meno equivoci: crema di cioccolato (“È considerato liquido tutto ciò che semplicemente non è solido”, ci spiegano), tagliasigari (potenziale arma impropria), ettolitri di shampoo suddivisi in flaconi da litro (“Magari me lo passano!”), bagnoschiuma formato famiglia di ogni sorta, prodotti contenuti nelle vietatissime bombolette spray, accendini e persino un innocentissimo vasetto di olive di Cerignola, colpevoli di essere immerse in una quantità eccessiva di salamoia.
Ma dove andrà a finire tutta questa roba? Ancora una volta la risposta è Triveneto Sicurezza: le loro guardie hanno il compito di requisire e catalogare il tutto, di immagazzinarlo nei locali di Save, cui spetta la responsabilità finale di un corretto smistamento della mercanzia. Secondo le testimonianze dei lavoratori il cibo intatto e perfettamente confezionato verrà successivamente regalato a enti benefici non meglio specificati. Cercare di capire esattamente quanto e a quali è stata un’impresa complicata che non ha portato ad alcun esito. E poi, tutto ciò che non è commestibile che fine fa?
Prezzi maggiorati e controlli serrati nell’area internazionale
Ricomposti i bagagli e recuperata la giacca, raggiungo gloriosamente l’area internazionale, quella in cui vestiti, souvenir, gadget di ogni tipo, cibo e soprattutto liquidi (dall’acqua al brandy) sono ammessi. Ma che cos’hanno di speciale questi prodotti, oltre al prezzo rincarato al punto di farmi pagare 3 euro una bottiglietta d’acqua, che al market mi costerebbe 50 centesimi ma che non posso portarmi da casa? Davvero tutto ciò che trovo in quella che viene chiamata “area sterile” è stato controllato pezzo per pezzo?
La risposta è sì, e molto scrupolosamente. Parte del personale dell’azienda incaricata alla sicurezza viene infatti formato all’uso di enormi macchine capaci di scannerizzare i grandi pacchi di merci destinati alla ristorazione, ai bar e in generale a tutti gli esercizi dell’area sterile. L’analisi è estremamente cavillosa e soggetta a controlli a sorpresa da parte di agenti di Stato.
Non si tratta degli stessi poliziotti, carabinieri e finanzieri che operano regolarmente all’aeroporto, suddivisi tra partenze e arrivi, ma di colleghi esterni che, per non creare il panico, comunicano loro con preavviso minimo il blitz che eseguiranno, con un controllo a campione, sull’operato delle GPG di tutte due le aree. Vestiti in borghese, si fingono passeggeri e tendono tranelli con materiale potenzialmente pericoloso e molto ben nascosto, per appurare che i dipendenti di Triveneto Sicurezza siano in grado di scoprirli. Un equilibrio con il quale la cosa pubblica, senza calare un regime militare, controlla quella privata.
In nome della sicurezza, dunque, ogni prodotto vede lievitare il suo costo all’aeroporto; anche un bene primario come l’acqua. Mi è accaduto anche di acquistare vini pregiati nell’area sterile, e quindi generosamente rincarati, e di vedermi poco dopo il volo cancellato. Prima di riavviarmi verso gli arrivi per recuperare i bagagli e ottenere un nuovo biglietto dalla compagnia per il giorno seguente, ho chiesto se avrei potuto riportare la confezione di vini, chiusi nel cellophane sigillato dalla commessa dell’enoteca dell’area sterile, con annesso scontrino fiscale, e passare i controlli il giorno successivo. Tre le risposte:
- “Non so chiedo a un collega”.
- “Sì, ma solo se il suo prossimo volo decolla entro 12 ore dall’emissione dello scontrino” (impossibile!).
- “Dipende. È a discrezione di chi trova ai controlli”.
Di restituire i vini e farsi rimborsare sulla carta di credito l’importo non se n’è parlato proprio: “Non possiamo”.
I registi nascosti dei voli
Finalmente sono al mio gate, tra chi, avendo fatto il check-in online e quindi saltato i controlli al bancone, crede di potersi portare in cabina bagagli extra, grandi quanto una roulotte. Riecco un’hostess di terra, spesso la stessa che ho incontrato per prima, a spiegare pazientemente che, pensate un po’, nel volo ci saranno anche altre persone, tutte aventi diritto a portare un trolley a mano (peso consentito dagli 8 ai 12 kg, in base alle disposizioni della compagnia aerea). Il fardello esagerato viene quindi imbarcato in stiva.
Via verso il serpentone, il tunnel che collega l’infrastruttura aeroportuale con il velivolo. Se questo non c’è si sale su un bus; un tragitto apparentemente occasionale, ma che in realtà circumnaviga il perimetro delle piste garantendo la sicurezza di tutti. Da qui si possono osservare molte altre professioni: quelle di chi trasporta in un trenino i bagagli dall’aeroporto alla stiva giusta e viceversa. Chi li carica. Chi li scarica (e chi li lancia, purtroppo). Chi vigila sul traffico. E chi non si vede, ma ha una funzione vitale: testare ogni circuito elettrico, il corretto flusso dell’energia. Gli addetti al rifornimento del carburante. Un dietro le quinte popolato dai veri protagonisti, quelli che ci consentono di volare, e soprattutto di atterrare. Registi, doppiatori, sceneggiatori: non si vedono, ma se non ci fossero loro…
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