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Mondiali in Qatar, qualcuno mente: alla sicurezza del lavoro non basta il VAR
«Quando al circo muore il trapezista entrano i clown». All’indomani della tragedia dell’Heysel, lo stadio di Bruxelles dove nel 1985 si disputò la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool in cui persero la vita 39 tifosi bianconeri, Michel Platini condensò in questa frase la sua amara ironia. Nel giorno in cui Zelensky ha […]
«Quando al circo muore il trapezista entrano i clown». All’indomani della tragedia dell’Heysel, lo stadio di Bruxelles dove nel 1985 si disputò la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool in cui persero la vita 39 tifosi bianconeri, Michel Platini condensò in questa frase la sua amara ironia. Nel giorno in cui Zelensky ha parlato al Parlamento italiano, otto dei parlamentari assenti erano in missione a Doha in Qatar, dove si terranno i prossimi mondiali di calcio. A capo della delegazione c’era Gianluca Ferrara, capogruppo del Movimento Cinque Stelle alla Commissione esteri. Con lui c’erano il capodelegazione Sergio Romagnoli, Sergio Vaccaro, Marco Croatti e Luciano Cantone (tutti senatori e deputati 5 Stelle) e Sergio Torromino di Forza Italia. Ad accompagnarli c’erano alcuni rappresentanti dell’UNHCR, l’agenzia Onu per i rifugiati.
A morire in Qatar, nei cantieri aperti in vista dei mondiali, non sono i trapezisti ma i lavoratori. Quasi tutti migranti. Ad agosto 2021 Amnesty International ha parlato di diverse migliaia di morti e ha denunciato le condizioni di lavoro che ci sono sui cantieri per la preparazione del più importante evento calcistico al mondo. Si è arrivato a parlare di 6500 morti. «Nonostante fossero emerse prove della relazione tra questi decessi e la mancanza di sicurezza sul lavoro e nonostante l’introduzione di alcune misure di protezione – scrive l’associazione per i diritti umanitari in un comunicato – restano ancora grandi situazioni di rischio: ad esempio, non è previsto un periodo di riposo obbligatorio proporzionale alle condizioni climatiche o al tipo di lavoro». Eppure nel comunicato rilasciato dalla delegazione italiana, che fa capo a Sergio Romagnoli, dopo l’incontro tenutosi all’hotel Four Season di Doha, lo stesso spiega come: «Il primo risultato è quello ottenuto per quanto concerne il mondo del lavoro. Si è deciso di tenere un tavolo comune per la tutela di chi è impegnato sui cantieri, implementando i nuovi strumenti utilizzati in Qatar con l’esperienza italiana». Insomma non stiamo parlando proprio della culla del nuovo Rinascimento, per citare le parole di Matteo Renzi, ma nemmeno di un posto dove i lavoratori stanno malaccio. Anche secondo la stessa Fifa nell’emirato arabo le condizioni di lavoro sarebbero più che migliorate. Joyce Cook, a capo della divisione responsabilità ed educazione della Federazione mondiale che gestisce il calcio, dopo la visita del 14 marzo sempre nel paese arabo, spiega come: «Le organizzazioni internazionali degli esperti hanno riconosciuto che la Coppa del Mondo ha realmente contributo in modo significativo a rendere ottime le condizioni di lavoro nella regione ed è chiaro che il Qatar è sulla pista giusta, perché sta introducendo le riforme del lavoro e sta facendo sostanziali progressi in un breve periodo di tempo». Peccato che non più tardi di due settimane fa Amnesty International abbia parlato di riforme del lavoro a rilento nel Paese che dovrà ospitare i prossimi mondiali di calcio, ai quali nonostante la solerzia dei nostri parlamentari l’Italia non parteciperà (per la seconda volta di fila, cosa che per alcuni è una vera e propria tragedia nazionale) perché è stata eliminata giovedì scorso dalla Macedonia del Nord nella prima partita del gironcino, che comprendeva anche Turchia e Portogallo. A questo punto qualcuno non la dice giusta sulla sicurezza del lavoro in Qatar e, davanti ad altri morti, sarebbe tardi anche per la più sofisticate delle VAR.
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Foto di copertina: mondiali.it
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