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Quant’è fragile l’Adriatico: dalla pesca selvaggia alla sostenibilità
In Veneto esiste una nuova attenzione verso l’ambiente marino, dalle scuole di pesca agli allevamenti ecosostenibili nel delta del Po.
Martoriato dagli scarichi delle fabbriche negli anni Settanta, dalle plastiche, da anni di pesca selvaggia e abusiva. L’Adriatico ne ha passate e ne passa di tutti i colori, ma questo non significa che non conservi in sé la capacità di generare, ancora oggi, pesce sano e vario. E con un rispetto da parte degli operatori del settore che solo la preparazione può portare.
Nelle lagune venete. infatti, la storia s’intreccia con piccole realtà di grandi eccellenze, dove il rispetto per quel dono azzurro è diventato disciplina prioritaria, innovazione, occasione di rilancio per un mestiere antico come quello del pescatore, ma in chiave moderna. Ci ha sempre creduto così tanto da investire nella formazione Sandra Chiarato, Coordinatrice Donne Impresa Coldiretti Veneto, che per cinque anni, insieme ad Impresa Verde Coldiretti – l’anima dell’ente deputata alla formazione – ha premuto per ottenere l’avvallo della Regione ai corsi per pescatori.
Solo quest’anno il bando FEAMP (Fondo europeo per la politica marittima, la pesca e l’acquacoltura) ha approvato il progetto per la “Scuola di Pesca” che già opera per aggiornare i senior e che da settembre partirà per i giovani futuri professionisti del mare.
“Per cambiare il sillogismo pescatore-predatore è necessario formare i ragazzi con una concezione delle acque e della loro fauna completamente diversa”, dice la Chiarato. “Per rispettare il mare, per pescare nel modo giusto, qualcuno deve pur insegnare alle nuove generazioni che tecniche usare. Vanno spiegate le occasioni imprenditoriali che questo settore può offrire ancora oggi, e come la tecnologia ha reso attualmente questo mestiere durissimo un po’ meno duro, meno faticoso. Non è stato facile essere ascoltata, ma alla fine ce l’ho fatta. Ora anche per questo antico mestiere ci sarà una scuola. Del resto, qualcuno deve pur portare in tavola il cibo per le tantissime persone che lavorano davanti a un monitor”.
Ed ecco dunque i protagonisti di questo piccolo mondo antico, il regno dei prodotti ittici tipici dell’Adriatico veneto, dove gli abusivi hanno spesso straziato i fondali, ma dove da anni lavorano anche eccellenze del settore, modelli di sostenibilità pronti a sorprenderci, soprattutto ora che è pace fatta con l’UE. Dopo la lunga diatriba sulla taglia della vongola, infatti, lo scorso gennaio l’Unione ha accettato il mollusco veneto (22 millimetri di larghezza contro i 25 millimetri precedentemente imposti). Un segno, seppur tardivo, di cortesia istituzionale che ha rasserenato non poco gli operatori.
L’ostrica rosa e gli allevamenti ecosostenibili nel delta del Po
“Voi allevate le cozze più buone del mondo. Possibile non siate capaci di crescere anche le ostriche rosa?”
È cominciato tutto così, con una sfida benevola lanciata da un ostricoltore francese di terza generazione, Florence Tarbouriech, agli allevatori della prestigiosa cozza di Scardovari, nel cuore del Delta del Po. Da vent’anni acquirente convinto di questi molluschi che poi rivende ai cugini d’oltralpe, platea dai palati notoriamente raffinati, Tarbouriech ha conquistato e contagiato con il suo entusiasmo Alessio Greguoldo, 44 anni, che oggi è l’unico in Italia ad allevare le ostriche rosa con la tecnica della “marea solare” nelle acque di Scardovari.
La tecnica utilizzata e trasmessa da Tarbouriech è del tutto ecocompatibile perché funziona con energie rinnovabili. Curioso che a lanciare l’input sia stato un collega francese, il quale ha riconosciuto in queste acque la combinazione perfetta per un prodotto ittico sano e adatto alle tasche e al palato di tutti.
“In sostanza – spiega Greguoldo – riproduciamo le maree là dove non ci sono, dove non c’è quella che tecnicamente viene chiamata escursione, e che qui non supererebbe i cinquanta centimetri come avviene invece in Normandia. Attraverso dei pannelli che funzionano a energia solare ed eolica, simuliamo una marea alimentando dei motori che azionano tubi. Questi arrotolano le funi di ostriche, tirandole così fuori dall’acqua per un certo numero di ore al giorno, in base alle condizioni climatiche. L’impianto è controllabile da remoto, con una app, e questo naturalmente facilita molto il nostro mestiere”.
La varietà di ostrica porta il nome di Tarbouriech, dall’ostricoltore che ha inventato il sistema, e in Italia è più nota come ostrica rosa. Si distingue perché è più resistente e quindi più facilmente commerciabile, è più facile da pulire rispetto all’ostrica classica, e ha uno stato di carnosità, di riempimento, che rimane costante tutto l’anno. Soprattutto ha una sapidità mitigata dalle acque dolci, che in questo angolo di paradiso si mescolano a quelle salmastre soprattutto nei giorni in cui il vento di scirocco soffia forte.
Il rischio dei prodotti nipponici contaminati da Fukushima
E mentre tanti luoghi comuni rimangono aggrappati alle coste dell’Adriatico, rischia di allentarsi l’attenzione nei confronti dei pericoli provenienti dal pesce di importazione, anche dal Paese del sol levante che ha dato i natali al sushi.
Recentissimo, infatti, è l’allarme lanciato dalla stessa Coldiretti e da Impresa Pesca Veneto. Secondo gli operatori del settore ci sarebbero in agguato 21 milioni di chili di crostacei, molluschi e altre varietà ittiche giapponesi, cresciute nello stesso mare in cui il Governo ha deciso di riversare 1,25 milioni di tonnellate di acqua radioattiva trattata dalla centrale nucleare di Fukushima.
Eppure pesce e pescatori non mancano certo in Veneto, sebbene il settore arranchi a seguito della pandemia, a strascico del comparto della ristorazione. Sono 26.000 i locali che, in tempi normali, servono pesce nella Regione; 600 i pescherecci; 2.000 gli addetti. “Da anni – ricorda Greguoldo – la Sacca di Scardovari è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco, e non va dimenticato. È facile poi sentir sottolineare che il Po è inquinato, ma ricordo che affluenti diretti qui, non ve ne sono. I controlli sanitari sulla qualità dell’acqua, inoltre, sono costanti e serrati, e vengono fatti sia dal Consorzio che da organi esterni. Ogni prodotto del mare, infine, prima di essere venduto è rigorosamente sottoposto a un paio d’ore di stabulazione, cioè di depurazione”.
La pesca in Veneto tra specie da proteggere e restituzione al mare
Tra i tanti addetti impegnati in produzione tipiche, di provenienza sicura e a “miglio zero” in questo scampolo di Adriatico, ci sono anche i pescatori di moeche, piccola prelibatezza stagionale oggi pesantemente insidiata dai cambiamenti climatici, che provocano invasioni di specie non autoctone come le meduse. Le moeche sono i granchietti della laguna pescati agli inizi di autunno e di primavera, nel momento in cui fanno la muta, cioè lasciano il vecchio carapace per costruirsene uno più su misura.
Domenico Rossi è uno dei venti pescatori di moeche della cooperativa San Marco, la più antica d’Italia, fondata a fine Ottocento, che raggruppa le maestranze storiche del settore. “Le reti vanno posizionate nelle secche lagunari in un certo modo a un metro, un metro e venti di profondità”, spiega Rossi. “Nelle reti rimangono poi decine di chili di pescato, ma si possono tenere solo pochissimi chili di moeche, che devono essere pescate quando sono in una precisa fase della muta. Tutto il resto viene restituito al mare e sarà pronto per la stagione successiva”.
La restituzione al mare è una regola ferrea per consentire una sana e fisiologica ripopolazione, e sta alla base della sostenibilità. Il grande traffico marittimo di navi da crociera e porta containers, però, ha fatto arrivare nelle acque dell’alto Adriatico migranti involontari: i grandi granchi blu dei Caraibi, che, ci spiega ancora Rossi, “non hanno nemici in natura qui, e quindi mangiano tutto, mentre non vengono mangiati da nessun’altra specie nelle nostre acque. Se fino a qualche anno fa ne trovavo uno ogni tanto, adesso la loro presenza è cresciuta in modo esponenziale”.
Dalle reti da pesca alle reti social: il pesce a km zero arriva porta a porta
Per controllare direttamente l’origine del pesce acquistato, la Coldiretti consiglia di verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere la zona di pesca, e scegliere la “zona Fao 37” se si vuole acquistare un prodotto pescato nei mari italiani.
E poi ci sono loro, quelli della nuova guardia, che per sensibilizzare i consumatori sull’importanza della pesca nostrana e illustrare i benefici dei prodotti ittici freschi passano con disinvoltura dalle reti dei pescherecci a quelle dei social. È il caso dei giovani imprenditori della Four Fish, cresciuti a bordo dei pescherecci di famiglia, e che già in epoca pre-COVID hanno vinto il concorso di Coldiretti “Oscar Green” per aver proposto la consegna di pesce fresco sottovuoto, porta a porta, come massima garanzia di freschezza e qualità a km zero.
“Per promuovere la capacità di riconoscere la qualità – spiega uno dei soci, Luca Veronese – ogni tanto facciamo dei piccoli concorsi scherzosi sui social. Si parte da un indovinello: capire dalla foto della coda di un pesce di quale pesce si tratta esattamente. I social diventano così una vetrina per la qualità ittica, perché mentre molti giovani si cimentano nel rebus, noi raccontiamo la storia. Delle nostre famiglie, delle nostre esperienze di pescatori. Ed è qui che il consumatore si appassiona e capisce davvero tutto il lavoro che c’è dietro”.
In copertina Domenico rossi con le sue moeche
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