I dati INAPP evidenziano un’altra lezione che l’Italia non ha imparato dal COVID-19: limitare la protezione sociale dei lavoratori rinunciando all’universalismo differenziato mette a rischio milioni di professionisti. Una strada inversa rispetto a quella di altri Paesi europei
Quanto ti pago da Nord a Sud
Ogni volta che si parla di lavoro, in Italia, è inevitabile affrontare il tema della retribuzione e del divario, esistente o presunto, tra Nord, Centro e Sud. L’aspetto legale della differenza retributiva Una differenza di retribuzione per lo stesso lavoro non è astrattamente possibile secondo il nostro ordinamento. A parità di mansioni, e quindi […]
Ogni volta che si parla di lavoro, in Italia, è inevitabile affrontare il tema della retribuzione e del divario, esistente o presunto, tra Nord, Centro e Sud.
L’aspetto legale della differenza retributiva
Una differenza di retribuzione per lo stesso lavoro non è astrattamente possibile secondo il nostro ordinamento. A parità di mansioni, e quindi di inquadramento per categoria legale (operaio, impiegato, quadro) e contrattuale (livello), spetta una retribuzione esattamente uguale a prescindere dalla zona geografica di lavoro o di residenza.
I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro fissano per ogni profilo professionale la retribuzione che una giurisprudenza costante, sia di merito che di legittimità, ritiene conforme a quella prevista dall’art. 36 della Costituzione: vale a dire proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e tale, in ogni caso, da assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Il minimo tabellare stabilito nei CCNL è quindi ancora oggi l’unico parametro di riferimento per la retribuzione, mancando una previsione normativa al riguardo. Non esiste infatti alcuna legge che stabilisca quale sia la retribuzione minima da corrispondere ai lavoratori dipendenti, nei vari settori di attività e per le mansioni da svolgere.
La forbice tra le regioni
Eppure, le differenze retributive tra le varie regioni d’Italia di fatto esistono. Un divario anche abbastanza marcato, come ci racconta il report Le dinamiche del mercato del lavoro nelle province italiane realizzato dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro. In base ai dati aggiornati alla media annua del 2017, la situazione appare delineata in questa tabella.
Lo studio effettuato dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro evidenzia il fatto che la differenza retributiva tra la provincia con la retribuzione media più bassa – Ragusa (1.059 €) – e quella con gli stipendi più alti – Bolzano (1.500 €) – è molto elevata: la busta paga del lavoratore siciliano è inferiore del 30% (441 euro) rispetto a quella del collega di Bolzano. Dopo Bolzano, le province con gli stipendi mensili più elevati sono Varese (1.459 €), Bologna (1.446 €), Como (1.442 €), Milano (1.431 €), Lodi (1.430 €). Nel Mezzogiorno la provincia con la retribuzione media più elevata è Benevento (1.288 €), che si colloca però solo al 56° posto della classifica. Il gap di genere più elevato si osserva in provincia di Ancona (-9,7%) e quello più basso in provincia di Viterbo (-40,4%).
Come spiegare le differenze?
Dal punto di vista del diritto del lavoro, il fenomeno della diversità di retribuzione può essere spiegato dal fatto che sono sempre ammessi accordi contrattuali, sia individuali che collettivi, migliorativi di quanto stabilito dai CCNL. Ed è proprio dalla contrattazione collettiva decentrata o di secondo livello, locale o aziendale, che a partire dai primi anni Duemila sono derivate le maggiori differenze retributive, in forme talvolta incentivanti come i premi di produzione o di risultato, oppure di riconoscimento di situazioni di lavoro specifiche (maggiorazioni differenziate per lavoro a turni, ulteriori indennità corrisposte a vario titolo).
I maggiori riconoscimenti a livello individuale (superminimo, assegno ad personam) rispetto alla retribuzione minima di riferimento nazionale, hanno trovato la loro motivazione socio-economica nelle differenze del costo della vita da regione a regione e da città a città, spesso anche assai rilevanti. Il costo della vita di chi vive a Milano non è lo stesso di chi vive a Livorno o a Crotone. I costi da sostenere per vivere in una metropoli sono assai più elevati rispetto a quelli delle piccole città o dei paesi. A queste motivazioni ha fatto riferimento, negli ultimi anni, anche la contrattazione collettiva decentrata, per ottenere risultati più favorevoli per i lavoratori, anche in termini di orari, conciliazione di tempi di vita e di lavoro, welfare.
A questo riguardo, le iniziali contrapposizioni tra organizzazioni sindacali sono oggi superate, e quindi, almeno in termini di stretto diritto, le differenze retributive trovano una loro giustificazione. In effetti, il divario del costo della vita indubbiamente esistente tra le varie regioni induce a pensare che trattamenti diversificati per situazioni tra di loro non omogenee siano confacenti anche al principio costituzionale di uguaglianza, inteso in senso sostanziale.
Lavoro part-time al Nord, stagionale al Centro-Sud
La situazione, quindi, sembrerebbe rovesciata rispetto al primo approccio. Non sarebbero tanto i lavoratori del Centro e del Sud ad essere pagati di meno, quanto soprattutto quelli del Nord ad essere pagati di più per il fatto che, dove vivono,la vita è più cara. Si tratterebbe semplicemente di un adeguamento al potere di acquisto reale e non di una vera e propria maggiore remunerazione del lavoro.
Ma le cose stanno proprio così? Difficile a dirsi.
L’analisi deve tenere conto di alcuni fattori distorsivi, che possono incidere sulla media anche in modo rilevante. Tra questi il lavoro part-time, maggiormente diffuso al Nord e svolto soprattutto dalle donne, e il lavoro stagionale, più diffuso nel Centro-Sud, dove è legato al settore turistico e concentrato maggiormente nella stagione estiva.
Guardando la tabella, là dove il lavoro part-time si diffonde maggiormente anche tra gli uomini, probabilmente perché legato alla stagionalità, la differenza retributiva di genere si riduce. Da Nord a Sud, dove è praticamente invariata la quota di part-time femminile, la percentuale assai più elevata di lavoratori uomini a tempo parziale (12% nel mezzogiorno rispetto al 7%) fa scendere la differenza di retribuzione tra i generi da oltre il 20% al 17,6%. Quindi, dove si trovano più contratti di lavoro part-time le retribuzioni nette medie sono più basse.
Il lavoro stagionale, svolto per definizione solo in alcuni periodi dell’anno, contribuisce ad abbassare la media mensile delle retribuzioni nette.
Componente fisiologica e patologica
Queste osservazioni sulle differenze delle retribuzioni nette medie riguardano la parte fisiologica del rapporto di lavoro.
Esiste poi una componente patologica, che influisce in maniera significativa sulle differenze retributive ufficiali. Il riferimento non è soltanto al lavoro nero, che pure continua a essere un fenomeno diffuso. Da alcuni anni, da quando è stata istituita la cosiddetta “maxi-sanzione” (oggi 15.600 euro per ogni lavoratore senza contratto), è diminuito il numero dei lavoratori completamente in nero, e al contempo è aumentato il numero dei contratti irregolari che costituiscono un’ampia zona grigia in cui i lavoratori sono assunti con regolare comunicazione ai Centri per l’Impiego, ma il rapporto di lavoro concreto differisce da quello che risulta dai documenti ufficiali. Ad esempio, a fronte di un contratto formalmente part-time di 16 ore settimanali, le persone lavorano non solo per l’intera giornata a tempo pieno, ma fanno anche gli straordinari.
Un altro fenomeno che inquina i dati statistici è il sotto-inquadramento, che accompagna a volte gli orari ridotti solo sulla carta. Ne fanno le spese soprattutto i lavoratori stagionali, in particolare quelli del settore turistico (bar, ristoranti, alberghi, campeggi, stabilimenti balneari), spesso assunti con un “contratto a chiamata” che a chiamata non è, e che si trovano a lavorare senza neanche il rispetto del riposo settimanale. E le differenze retributive? Tutte regolate fuori busta.
La migrazione verso il Nord
Parlare di differenze retributive sostanziali non è facile, sia dal punto di vista della distribuzione geografica Nord – Sud, sia da quello della tipologia di lavoro, continuativo o stagionale. I dati ufficiali confermano che le differenze esistono e che possono trovare non solo una spiegazione, ma addirittura quasi una giustificazione.
C’è un rilevante fenomeno sociale che accompagna da sempre il gap di trattamento economico, ed è quello della migrazione, da Sud a Nord, oggi concentrato soprattutto nel lavoro stagionale. Persone di tutte le età si trasferiscono nei luoghi di vacanza al Centro-Nord per “fare la stagione” accettando anche condizioni di lavoro, di alloggio e di vita non proprio adeguate, in cambio di una retribuzione netta più favorevole. Finita la stagione si torna a casa, o magari si emigra all’estero, dove hanno imparato meglio di noi a destagionalizzare.
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