I candidati internazionali non sono tutti uguali

Ormai sono diversi anni che mi occupo di selezione a livello internazionale; sono molte le aziende italiane che hanno necessità di personale all’estero, quasi sempre di personale locale (gli espatriati costano tanto ed il loro numero è diminuito sensibilmente). Ma vediamo quali sono le differenze nel reclutare personale straniero e come reagiscono i candidati alla […]

Ormai sono diversi anni che mi occupo di selezione a livello internazionale; sono molte le aziende italiane che hanno necessità di personale all’estero, quasi sempre di personale locale (gli espatriati costano tanto ed il loro numero è diminuito sensibilmente).

Ma vediamo quali sono le differenze nel reclutare personale straniero e come reagiscono i candidati alla chiamata di un head hunter per una proposta di lavoro qualificata. I comportamenti variano rispetto alle reazioni dei candidati italiani, che hanno una maggiore ricettività quando si tratta di cambiare lavoro.

Una prima cosa in generale che vale per tutti i candidati stranieri è che parlano al 90% inglese fluente, usano skype normalmente per il primo colloquio conoscitivo: caratteristiche che purtroppo non si ritrovano nella stessa percentuale per i candidati italiani.

In Germania i candidati non sono così ricettivi e veloci nel rispondere; il candidato tedesco non cambia facilmente. Lo devi quasi corteggiare (nel senso che gli devi mandare diverse mail) e inoltre, a differenza dell’italiano che risponde a volte anche a proposte molto generiche, lui vuole sapere tutto: chi è il datore di lavoro, che azienda è, quale posizione offre, se bisogna coordinare delle persone. Aspetto interessante è che per lui la parte retributiva viene per ultima mentre per il candidato italiano viene quasi sempre al primo posto.

Il tedesco fa a sua volta una selezione, riguardo tanto l’affidabilità del recruiter quanto la serietà della proposta dell’azienda; avendo in genere stipendi più alti dei pari ruolo italiani (mediamente del 30%) e avendo anche posizioni di responsabilità al di sotto dei 40 anni (cosa in Italia abbastanza rara, un candidato al di sotto dei 40 viene ancora considerato giovane), il tedesco non ha tutta questa fretta di cambiare lavoro.

Questo comportamento in realtà lo si può estendere a tutti i paesi nordici, ai paesi di lingua tedesca (Austria e Svizzera) e agli olandesi; sono mercati del lavoro più aperti, offrono più opportunità qualificate, pagano di più rispetto all’Italia, ma soprattutto offrono posizioni di responsabilità ai candidati giovani.

Altro comportamento invece hanno i candidati dei paesi dell’Est Europa, quali Polonia e Ungheria (la Repubblica Ceca meno; ha avuto una trasformazione più rapida). Il candidato polacco ha un focus molto diretto all’aumento di retribuzione, agli orari di lavoro, ai benefit (tipo assicurazione sanitaria); insomma è interessato ad essere tutelato il più possibile.

Questo sicuramente è il retaggio di un sistema comunista che garantiva a tutti un salario, indipendentemente dalla qualità del lavoro svolta il che genera diffidenza da parte dei datori di lavoro italiani che difficilmente ripongono fiducia in questo tipo di candidati (mentre il ricorso agli espatriati per posizioni di responsabilità è maggiore).

In compenso i candidati polacchi, soprattutto le donne, per la maggioranza parlano un italiano fluente – oltre ovviamente all’inglese – poiché hanno studiato in Italia o hanno già lavorato per un’azienda italiana. O spesso anche grazie a motivi familiari.

Uscendo dall’Europa, in Asia per esempio, i candidati si comportano quasi come gli italiani: sono molto ricettivi alle nuove proposte di lavoro, non parlano inglese fluente, sono attenti all’aspetto economico. Il problema principale, anche qui, è che difficilmente gli imprenditori italiani affidano posizioni di responsabilità a un candidato locale; la differenza culturale tra italiani e cinesi è enorme soprattutto nella cultura del lavoro.

Sicuramente il mondo è diventato più piccolo, è più facile mettersi in contatto con candidati validi di diverse nazionalità ma le differenze culturali permangono, così come i pregiudizi purtroppo. Un buon selezionatore deve essere in grado di spiegare bene i contenuti della posizione, acquisire la fiducia del candidato e accompagnare candidati e azienda sino alla fine del processo di selezione, facendo a volta anche da mediatore culturale.

CONDIVIDI

Leggi anche

Internazionalizzare un’Italia che non parla inglese

È nella ricerca di un nuovo gioco di forze tra pubblico e privato che l’Italia potrebbe mettersi in corsa sui mercati internazionali. Serve però essere onesti e guardare ad alcuni conflitti culturali interni, invisibili agli occhi della politica e dell’informazione. L’Italia è un paese che non parla inglese, basterebbe già solo questo per comprendere a […]