Intervistiamo Andrea Zanzini, coordinatore dell’incubatore di impresa per le aree interne: “Portare nei territori ciò che ancora non c’è”.
Vita e lavoro in Umbria, cuore appartato per non dire isolato
“Ma ti sei trasferito a Terni? Ma quanti chilometri a sud di Roma è?” “Veramente è più a nord.” Ebbene sì: come in Benvenuti al Sud, da novello Claudio Bisio quasi due anni fa sono partito per Terni. Anzi: per lavorare a Terni, ma per vivere a Montoro, borgo medioevale la cui descrizione su Wikipedia […]
“Ma ti sei trasferito a Terni? Ma quanti chilometri a sud di Roma è?”
“Veramente è più a nord.”
Ebbene sì: come in Benvenuti al Sud, da novello Claudio Bisio quasi due anni fa sono partito per Terni. Anzi: per lavorare a Terni, ma per vivere a Montoro, borgo medioevale la cui descrizione su Wikipedia è piuttosto eloquente: “Montoro è una frazione del comune di Narni (TR). Il paese si trova sul crinale di un colle, a 194 m s.l.m., costituito di arena gialla e creta chiara, che ha dato origine al toponimo. Secondo i dati Istat del 2001, gli abitanti sono 79”.
Ecco, tutto d’un tratto mi sono ritrovato ad essere l’ottantesimo cittadino di un luogo fuori dal tempo, senza macchine e negozi, tutto scale e saliscendi, nel centro geografico d’Italia; il cuore verde della nazione, a trecento chilometri fisici da Bologna – più altri mille aggiunti dall’immaginario di chi non la conosce.
Dopo anni in giro per il mondo, arrivare a Terni è sicuramente stata una scelta dettata dall’opportunità di far parte del progetto di rilancio dell’acciaieria cittadina, ma anche da una dose di curiosità per un punto d’Italia a me sinceramente sconosciuto.
Trasferirsi in Umbria
Era primavera quando è iniziato il mio confronto umano e professionale con l’Umbria. A Montoro dopo poche settimane sono stato adottato dai miei compaesani, e pian piano inserito in una realtà dove d’estate lasci la porta aperta per far fresco, perché tanto le vicine se ne stanno nel vicolo a chiacchierare tutto il giorno o condividono con te i prodotti dell’orto, il vino l’olio e la passione per la carne alla brace. Dall’altro lato ho iniziato a conoscere professionalmente l’Umbria, la sfida di una lean transformation più unica che rara nei 130 anni di storia dell’acciaieria nata come simbolo dell’unità d’Italia.
Uno dice Umbria e pensa ai borghi medioevali, al misticismo di Assisi, al cioccolato e al jazz di Perugia, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, all’acciaieria di Terni e alla cascata delle Marmore; pensa al buon cibo e al verde ininterrotto delle foreste. Trovare altri spunti può essere difficile, senza avere avuto esperienze dirette in loco.
Perché l’Umbria è un luogo di eccellenze nei settori più disparati, dove oltre trenta multinazionali generano cinque miliardi di fatturato su novecentomila abitanti, innescando una serie di interessanti sorprese anche nei settori che non ti aspetti, oltre ai soliti noti. Mi scuso in anticipo se mi dimenticherò di qualcuno, ma sono davvero tanti.
Le eccellenze aziendali dell’Umbria
Partiamo dalla chimica, nata dalle ceneri della galassia Montedison, che qui produsse il Moplen del premio Nobel Giulio Natta e che oggi ha svariati nomi e proprietà, tedesche, belghe o giapponesi, ed è presente in tutto il mondo con prodotti di qualità riconosciuta: basti pensare al policarbonato o a veri e propri marchi quali Alcantara, che negli ultimi anni ha conquistato un posto di rilievo sia nel mondo della moda che in quello delle automotive.
Passando al mondo della meccanica ci sono multinazionali come De Walt, con stabilimenti di riferimento mondiale quale quello di Perugia, superbamente riorganizzato da uno dei pochi e veri Lean Sensei italiani, Cesare Ceraso, che ha saputo unire alla saggezza appresa in Giappone la passione del suo cuore napoletano.
Per quanto riguarda la moda, già molte parole si spendono sul distretto umbro del cachemire e sul borgo/azienda di Solomeo firmato Brunello Cucinelli. Passiamo rapidamente su altri settori quali il legno (pavimenti) o l’arredamento di design prodotto e distribuito in tutto il mondo da Foligno, o le grandi tradizioni siderurgiche tra Perugia e Terni, sia nell’acciaio che nella forgiatura e fusione.
Lascio per ultimo, dato il momento aureo, il food. L’80% dei tartufi commercializzati in giro per il mondo partono da un’eccellenza della Valnerina guidata da Giammarco Urbani, mentre le competenze in fatto di vini non temono rivali a partire dalla zona di Montefalco.
Potrei dare l’impressione di star redigendo una guida turistica per appassionati di turismo industriale, ma in realtà voglio aiutare chi legge a uscire da stereotipi come quelli che avevo io due anni fa.
Le dolenti note dei collegamenti
Bene: ma se questo posto a nord di Roma ha una qualità della vita sopraffina ed eccellenze di rilievo mondiale nei settori più svariati, perché in così pochi vanno a viverci e ancora in meno a lavorarci?
La risposta è banale, ma semplice: l’Umbria è una regione collegata in modo pessimo con il resto d’Italia, e quindi con il mondo.
Da bolognese, per me andare a Milano equivale a cinquanta minuti di treno. Andare a Roma richiede due ore; in una giornata di aereo si va e si torna da Londra, Francoforte, Parigi e tante altre. In autostrada sono a due passi da Firenze e Toscana, dall’altro lato c’è il Veneto, e così via.
Da umbro cambia tutto. Andare a Milano è un calvario: da Perugia occorrono dalle quattro alle sei ore; tre ore e mezzo con il Frecciarossa delle cinque del mattino, appena introdotto e non a caso già tutto esaurito, con solo una corsa di andata e una di ritorno; da Terni si va dalle quattro alle sette ore per Milano, mentre per andare a Roma ne occorrono tre da Perugia e una da Terni. A Perugia c’è un aeroporto, ma lascio scoprire a chi mi legge l’offerta dei voli. Sappiate solo che non è esattamente competitiva con Fiumicino.
Dal punto di vista stradale la spina dorsale è data dalla più lunga superstrada italiana, la SS3 Tiberina che collega Ravenna a Orte, nota soprattutto per il fondo perennemente dissestato e in balia degli eventi atmosferici, con deviazioni sul passo del Verghereto che garantiscono un ritorno alla bellezza della natura appenninica, ma allungano il viaggio di durate difficilmente quantificabili.
Da ultimo arrivato sto chiaramente scoprendo l’acqua calda, ma basterebbe trasformare la stazione di Orte nell’equivalente della stazione AV mediopadana di Reggio Emilia e tutto il mondo che ruota tra alto Lazio, bassa Toscana e Umbria guadagnerebbe dal 25 al 30 % di tempo nei collegamenti con Roma, Milano e il resto del mondo. Il che aprirebbe le porte a diverse possibilità.
Le potenzialità di un’Umbria in contatto col mondo
Pensiamo al turismo. Parlando delle meraviglie dell’Umbria con una wedding planner di lusso, tra borghi, castelli e resort che non capivo come mai non fossero meta di business internazionali, la risposta è stata tanto secca quanto chiara: “I miei clienti vogliono essere a un’ora di distanza dalle principali linee di comunicazione internazionali”. Ecco spiegato il successo dei laghi a nord di Milano.
Ma non tutto nelle comunicazioni non va. Anzi: si scopre che se quanto detto vale per il traffico passeggeri, che in una regione a vocazione turistica non è un problema da poco, fortunatamente vale molto meno per il traffico merci. Il collegamento stradale di Orte, verso sud, permette il facile raggiungimento di autostrada, ferrovia e del porto di Civitavecchia, trasformando il tutto in un buon canale di collegamento sia verso il nord sia verso il resto del mondo grazie al porto, divenuto nel frattempo una realtà sempre più solida nel bacino del Mediterraneo.
Certo che se la piastra logistica di Terni venisse completata (un magazzino intermodale camion/treno al centro della conca ternana), aggiungendo il binario di collegamento alla rete ferroviaria, ciò regalerebbe alla zona sia un migliore impatto ambientale che una maggiore efficienza logistica, esaltando la vocazione intermodale innata nei player locali, che hanno insegnato a usare camion e treno a mezza Italia senza poterlo fare al meglio a casa propria.
Inoltre, se il potenziale logistico distributivo dello scalo ferroviario di Orte venisse sviluppato e ampliato per generare nuovi spazi, e soprattutto se venisse realizzato l’ultimo tratto di autostrada di collegamento al porto di Civitavecchia, ecco: questo significherebbe togliere il tappo a una botte ricca di opportunità.
Il confronto che alimenta la crescita
Dal punto di vista sociale questo isolamento nei trasporti, con eccezioni come l’Università di Perugia, ha sicuramente limitato le opportunità di interscambio e confronto tra diverse culture, opportunità che sono da sempre fertilizzante per la crescita. E il terreno, qui, sarebbe ottimo.
La mancanza di interscambi sociali, o comunque la sua limitazione, purtroppo è un dato da leggersi come un limite allo sviluppo, cioè la capacità di generare curiosità e voglia di confrontarsi. Se non c’è modo di incontrare persone che hanno esperienze diverse, e magari la pensano anche diversamente, diventa difficile generare quel meraviglioso dubbio che porta al miglioramento vero.
Sommando le mie esperienze, che dire? Dopo diciotto mesi di Umbria, a differenza del protagonista del film, ho trasferito la famiglia in questo splendido posto; un posto che molti ancora pensano si trovi a sud di Roma.
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