Salari più bassi dei sussidi: Milano, come tratti il lavoro?

Un’indagine della CGIL su 3.800 lavoratori del capoluogo lombardo fa luce sulla Milano disoccupata, composta da lavoratori in bilico tra precariato e povertà. Una città in cui gli indeterminati durano in media 48 mesi e in un anno e mezzo si sono dimesse 225.872 persone, con la soddisfazione lavorativa ai minimi storici

14.02.2025
Milano e lavoro, un cartello sulla povertà vicino a un cavalcavia

Esiste la Milano delle mille opportunità, con il suo mercato del lavoro dinamico, servizi che ti accompagnano nelle transizioni da un’azienda all’altra, con la possibilità di costruire solide carriere, capitalizzare le proprie conoscenze e acquisirne di nuove, avviare progetti di vita.

Esiste poi un’altra Milano, disoccupata e spesso frustrata, di cui nessuno parla. Parallela, o meglio complementare, che si barcamena tra impieghi poveri e precari, dove sono protagoniste persone demotivate, che passano tra un contrattino breve e un altro, tra centri per l’impiego e agenzie; illusioni tradotte alcune volte in un nulla di fatto, altre volte in rapporti che comunque non permettono di vivere in modo dignitoso – tanto più in una metropoli simile.

Sono reali entrambi i volti, solo che il racconto prevalente si focalizza sempre sul primo, quello delle mansioni tradotte in inglese anche se la stessa espressione esiste pure in italiano. La CGIL di Milano, invece, ha provato a intercettare l’altra parte, quella di chi vive il disagio lavorativo.

L’indagine della CGIL sulla salute del lavoro a Milano

Per farlo ha somministrato 3.800 questionari alle persone che prendono il sussidio di disoccupazione, la NASpI. Si tratta in pratica di quelle che hanno perso involontariamente il lavoro: sono state licenziate o, ancora più probabilmente, non hanno ottenuto il rinnovo di un contratto precario. Il sindacato ha suddiviso gli intervistati in quattro ondate: alla prima fanno riferimento quelli che hanno perso il lavoro da tre mesi; all’ultima quelli che lo hanno perso da un anno. Insomma, a ogni ondata corrisponde una durata più o meno lunga di disoccupazione.

Primo dato che colpisce: chi ha trovato un nuovo lavoro si è trovato comunque, in tre quarti dei casi, con un nuovo rapporto a tempo determinato o interinale. La percentuale di chi si è ricollocato con un contratto stabile è attorno al 25%.

Ma c’è di più, e di peggio: un terzo dei rioccupati ha ora uno stipendio inferiore a quello del precedente lavoro e una percentuale molto simile dichiara addirittura di guadagnare una cifra più bassa dell’indennità di disoccupazione. Insomma, anche il mercato del lavoro milanese spesso offre salari che fanno a fatica concorrenza con i sussidi, tant’è che sempre una quota di circa un terzo degli intervistati ha dichiarato di percepirsi in povertà; percentuale che arriva a superare il 50% delle risposte tra chi ha vissuto la disoccupazione per un anno, e quindi ha sfiorato quella “di lungo corso”, facendo appunto parte della quarta ondata.

Ma in quali settori queste persone hanno ritrovato un lavoro?

Le percentuali più alte si trovano nel commercio, turismo e ristorazione (28,6% per la terza ondata e numeri comunque rilevanti anche nelle altre), nei servizi di pulizia e vigilanza (14,3% nella terza ondata) e nella logistica (12,5% nella quarta ondata). Insomma, non è un caso che queste storie vengano prevalentemente da quei comparti che sono in genere caratterizzati da bassi salari, alta precarietà, occupazione debole (con alta incidenza del part time).

A Milano il lavoro non è mai stato più vulnerabile

Insomma, a Milano non lavorano solo manager con gli airpod nelle orecchie e retribuzioni con cinque zeri. Anche perché gli stessi manager hanno bisogno di qualcuno che pulisca le loro scrivanie, porti loro il pasto al ristorante, consegni il pacco a casa. E queste professioni, benché essenziali a tenere in piedi la macchina milanese – si pensi a che cosa successe durante la pandemia – non garantiscono stipendi gratificanti alla luce di quanto costa vivere in questa città.

Attenzione però a pensare che questi disagi riguardino solo le persone con “basse” qualifiche. Come spiega la segretaria CGIL Milano Valentina Cappelletti, una certa forma di disoccupazione ciclica è vissuta anche da “profili professionali che non necessariamente immaginiamo in una condizione di fragilità nel mercato del lavoro”. Esempio: “Abbiamo raccontato la testimonianza di un restauratore con una laurea magistrale; uno non penserebbe che abbia delle difficoltà a lavorare con continuità, invece ne ha perché in quel settore si lavora solo nel regime di appalto, e la precarietà e l’incertezza della continuità vengono scaricate dall’impresa sul lavoratore”.

L’anello più vulnerabile del mercato del lavoro non è per forza quello meno qualificato, e anche quando viene preso per mano dai servizi dei centri per l’impiego o delle agenzie, spesso non riesce a trovare opportunità migliori di queste, come dicono i numeri. La percezione che il nuovo impiego non potrà durare a lungo raggiunge punte superiori al 50% (nella terza ondata); la sensazione che non sia possibile avviare progetti di vita arriva al 60% nella seconda ondata.

Ma che cosa hanno fatto queste persone per cercare lavoro? In quali attività sono state coinvolte? Percentuali sempre attorno all’80% dicono di non aver mai partecipato a un corso di formazione in aula. Sempre superiori al 60% quelli che giudicano in modo negativo il supporto ottenuto per l’orientamento nel mercato del lavoro e per l’autoimprenditorialità. La maggioranza relativa più consistente (26,1%) ha trovato lavoro tramite le piattaforme digitali; il 12,2% si è rivolto ai canali informali, cioè ad amici e parenti; l’11,7% ha inviato il proprio curriculum tramite mail.

Gli indeterminati durano quattro anni: una città sempre più polarizzata

L’età media dei partecipanti alla rilevazione della CGIL di Milano è attorno ai 50 anni. Si tratta quindi di una fascia difficile da ricollocare. Tuttavia, anche la convinzione per cui le aziende preferiscano i più giovani per effettuare investimenti a lungo termine su di loro sembra scontrarsi con alcune evidenze. Per esempio la durata media dei contratti a tempo indeterminato, che nel capoluogo lombardo è di 48 mesi: tra gennaio 2023 e settembre 2024, nella città metropolitana di Milano, si sono dimesse 225.872 persone. Le durate medie più corte sono nelle costruzioni, in alberghi e ristoranti e nella logistica.

Questa dinamicità del mercato del lavoro sarà sicuramente fisiologica e positiva per tutti coloro che, nel passare da un impiego all’altro, crescono dal punto di vista delle mansioni, del trattamento economico e delle condizioni in generale. Ma, come abbiamo visto dai dati sui percettori di NASpI, si tratta di un mondo diviso in due: c’è anche chi quelle transizioni le subisce in senso negativo, perché fa più fatica a ricollocarsi e, quando ci riesce, non sempre trova maggiore soddisfazione nel nuovo lavoro, anzi spesso lo vive come un passo indietro. La ricerca CGIL cita anche un’indagine di Sviluppo Lavoro Italia per cui la provincia di Milano è al settantatreesimo posto nella classifica della soddisfazione lavorativa, con un dato di poco inferiore alla media nazionale.

Non solo non è tutto oro, ma forse gli aspetti problematici sono ben più grandi di quanto si possa immaginare. Negli ultimi tempi è esplosa la questione degli affitti, rincorsi a fatica dai salari, che ha incrinato la narrazione di Milano come città delle opportunità. Secondo la segretaria Cappelletti, si tratta di fenomeni che non sono stati intercettati e curati in tempo, e con il passare degli anni hanno acuito l’impressione di una Milano a due velocità.

“Ce ne eravamo accorti già all’indomani dell’Expo,” ha detto Antonio Verona, del dipartimento mercato del lavoro CGIL Milano, “quando si stava già determinando una situazione duale del mercato del lavoro milanese, con una quota molto significativa che arrancava tra salari bassi. La cosa peggiore – ha aggiunto – è che questi divaricavano sempre di più una città molto polarizzata dal punto di vista dei redditi e delle condizioni sociali”.

 

 

 

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Photo credits: milanocittastato.it

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