Siamo invasi da norme giuridiche mal concepite che i cittadini tendono a non rispettare, soprattutto in emergenza. Eppure un modo per invertire la tendenza esiste.
Stacca o ti multo: proposta una legge sul diritto alla disconnessione
In Italia un professionista su dieci lavora due ore in più ogni giorno rispetto agli obblighi contrattuali: in Parlamento arriva una proposta di legge che tutela i lavoratori, dipendenti e non, dagli eccessi dello smart working. Ne parliamo con Giovanni Crisanti, fondatore dell’associazione l’asSociata, la cui campagna “Lavoro, poi stacco” ha ispirato la norma
“È la prassi per me. Dopo le 20 e fino alle 22:30 circa lo schermo del mio smartphone continua a riempirsi di notifiche di colleghi e superiori, anche se la mia giornata di lavoro si dovrebbe chiudere, da contratto, alle 18”, racconta Sara (nome di fantasia), 25 anni, di Roma.
La storia di Sara non rappresenta però un’eccezione. Sono tanti i lavoratori e le lavoratrici italiane che non possono permettersi di staccare dopo l’orario di lavoro. È così anche per Gianluca (nome di fantasia), 32 anni, da Padova: “Nell’azienda per cui lavoro esisterebbe la regola secondo la quale nessuno può essere disturbato oltre l’orario di lavoro, se non per emergenze. Il problema è che questa regola non viene quasi mai rispettata, perché le emergenze sono quotidiane e quindi c’è sempre una scusa valida per essere contattati a qualsiasi ora del giorno e della notte”.
Per Laura (nome di fantasia), 27 anni, graphic designer freelance da Milano, le cose non vanno meglio: “Come libera professionista la mia giornata lavorativa non ha orari prestabiliti. Ci sono giorni in cui lavoro dodici ore, altri in cui ne lavoro sei, ma staccare del tutto e rendersi irreperibile è quasi impossibile nel mio caso. I clienti vogliono che tu risponda subito, come se tu fossi sempre a loro disposizione e non meritassi di riposare. Mi sento costantemente sotto minaccia: ho paura che, se non rispondo subito, si rivolgeranno a qualcun altro che invece è sempre raggiungibile”.
Altro che agile: quando lo smart working appesantisce il lavoro
L’avvento della pandemia da COVID-19, unito alla diffusione delle nuove tecnologie e della modalità di lavoro da remoto o in smart working, hanno avuto un impatto considerevole sull’organizzazione del lavoro, ma anche sullo stile di vita e sulla gestione del tempo libero delle persone. Se da un lato questo processo ha portato a una migliore scansione del tempo da dedicare al lavoro, dall’altro ha spesso causato una sovrapposizione tra vita privata e vita professionale, rendendo quasi indistinguibili l’una dall’altra.
Così, anziché diminuire, in alcuni casi il tempo dedicato agli impegni di lavoro è aumentato. In un Paese dove, secondo i dati Eurostat del 2023 riferiti al 2022, il 9,4% dei lavoratori (autonomi e dipendenti), lavora oltre le 49 ore settimanali (quasi due in più al giorno rispetto a quelle previste da contratto), lo smart working, anziché favorire una migliore work-life balance, ha spinto molte aziende a chiedere prestazioni extra, sfruttando il fatto che al di fuori dall’ufficio non esiste ancora una linea di demarcazione netta tra spazio lavorativo e spazio privato. Un concetto che molti manager hanno, con astuzia, definito con termini all’apparenza invitanti, come “flessibilità” ed “elasticità”, e che si è spesso tradotto in straordinari non retribuiti e sfruttamento.
Ecco allora che, anziché vedere un miglioramento del proprio benessere psicofisico, molti lavoratori hanno iniziato a fare i conti con diversi disturbi e patologie legate al sovraccarico di lavoro, come ansia, insonnia, sindrome da burnout, costante tensione e irritabilità, oltre che una diminuzione della produttività.
Il quadro normativo, oggi
Per questi motivi, da febbraio 2024 l’associazione giovanile L’asSociata, ha lanciato la campagna pubblica Lavoro, poi stacco, con un sito web dedicato, per sollevare la questione relativa al diritto alla disconnessione, ossia il diritto del lavoratore a non essere costantemente reperibile al di fuori dell’orario di lavoro, e ad avere quindi la libertà di non rispondere alle comunicazioni di lavoro nei turni di riposo, senza subire ritorsioni sotto il punto di vista professionale.
Grazie agli incontri, alle discussioni e a un tour di trenta tappe che ha attraversato tutta l’Italia e coinvolto associazioni, partiti politici e semplici cittadini, la campagna è confluita in una proposta di legge, promossa dal PD, che intende introdurre nel nostro ordinamento il principio del diritto alla disconnessione per tutti i lavoratori, a prescindere dalla modalità lavorativa, garantendo così una separazione normata tra lavoro e vita privata.
In realtà, in Italia esiste già una legge che fa riferimento al diritto alla disconnessione: la legge del 81/2017 sul lavoro agile che prevede che il lavoratore abbia diritto “alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”. A questa si aggiunge l’art. 19 della legge sullo smart working del 2020, che prevede che questa debba contenere “misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche del lavoro”, ma non viene indicata una norma generale che funga da quadro per tutti i lavoratori in smart working.
La proposta di legge sul diritto alla disconnessione: coinvolti autonomi, professionisti e imprese
Per i sostenitori della proposta di legge, la normativa vigente presenta due grossi limiti: da un lato rinvia la regolamentazione ad accordi tra parti diseguali e con riferimento alla sola modalità agile; dall’altro esclude tutte le altre categorie di lavoratori che comunque svolgono la propria attività avvalendosi delle nuove tecnologie.
“Lo staccare non è un concetto che riguarda solo lo smart working, ma più in generale il lavoro,” afferma Giovanni Crisanti, fondatore dell’aSsociata. “Oggi, con le email che arrivano sullo smartphone e le app di messaggistica che sono diventate un canale di lavoro vero e proprio, succede molto spesso di lavorare al di fuori dell’orario concordato. Ad oggi però non esiste ancora una legge che riconosca questi come straordinari, che devono essere, e che il lavoro extra deve essere richiesto solo quando indispensabile”.
Una delle novità più importanti di questa proposta di legge riguarda infatti l’introduzione del principio del diritto alla disconnessione per ciascun lavoratore, a prescindere dalla modalità lavorativa e dall’inquadramento.
L’articolo 4, in particolare, estende le tutele introdotte dalla proposta di legge anche ai lavoratori autonomi e ai professionisti, obbligando inoltre gli ordini e le associazioni professionali a adeguare i rispettivi codici deontologici entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge. “Abbiamo deciso di inserire il riferimento anche ai lavoratori autonomi poiché in Italia è molto diffuso il fenomeno delle false partite IVA, ossia quei lavoratori che a tutti gli effetti lavorano come subordinati ma con partita IVA: bisogna tutelarli”.
L’articolo 5, invece, impone alle imprese che occupano più di quindici lavoratori e la cui attività lavorativa viene svolta prevalentemente attraverso strumentazioni digitali di mettere a disposizione dei dipendenti le strumentazioni tecnologiche adeguate, provvedendo anche ai corrispondenti costi di gestione.
Specifiche sanzioni, che vanno dai 500 ai 3.000 euro a lavoratore, in caso di violazione degli obblighi previsti dalla nuova legge, sono invece indicate nell’articolo 7.
“È una questione difficile da mettere in pratica tout court – sottolinea Crisanti – ma pensiamo sia un incentivo per la diffusione di una cultura del lavoro più sana. I critici vedono questa iniziativa come una sorta di incentivo al non lavorare o al ‘cazzeggiare’, ma non è così, perché molti studi hanno dimostrato che lavorare di più, in realtà peggiora la qualità del lavoro e la produttività”.
Il diritto alla disconnessione in UE e l’iter di approvazione in Italia
L’Italia non è l’unico Paese a discutere di questo tema. Su tale fronte si sono già mossi diversi componenti dell’UE, a cominciare dalla Francia, che nel 2016 ha approvato la Loi du Travail, proseguendo poi con la Spagna, che nel 2021 ha introdotto una nuova legge sul lavoro a distanza che include disposizioni sul diritto alla disconnessione digitale, obbligando le aziende a definire politiche specifiche, e infine il Belgio, che ha introdotto il diritto alla disconnessione per i dipendenti del settore pubblico, con progetti di legge in discussione per estenderlo anche al settore privato.
A livello comunitario manca però una disciplina omogenea, nonostante il Parlamento europeo, con la risoluzione del Parlamento del 21 gennaio 2021, abbia invitato i Paesi membri a valutare e adottare misure legislative per garantire il diritto alla disconnessione, riconoscendone l’importanza per la salute e il benessere dei lavoratori.
“Serve una nuova scommessa sulla qualità del lavoro. Dopo la pandemia questa domanda si è fatta ancora più stringente. E questa risposta la deve dare la politica”, ha dichiarato il primo firmatario della proposta di legge Arturo Scotto, capogruppo PD in commissione Lavoro. La strada per la sua approvazione è però ancora lunga e tutta in salita: se le forze di centrosinistra si dicono favorevoli alla proposta, la destra sembra già opporre le prime resistenze.
Adesso la palla passa al Senato, dove la proposta verrà a breve depositata dal senatore del PD Filippo Sensi.
“In questo momento non so dire se la legge passerà o meno, dipenderà molto da quello che succederà in commissione Lavoro. Se l’onorevole Scotto riuscirà a costruire un’alleanza che regga abbiamo buone possibilità, altrimenti, in caso negativo, continueremo la nostra battaglia”, conclude Giovanni Crisanti.
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Photo credits: romanelectrichome.com
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