Dema S.p.A., nuovi proprietari, stipendi in ritardo: aeronautica in volo radente

Una vertenza lunga 16 anni che ancora non sembra destinata a interrompersi: non c’è pace per i dipendenti di Dema, società dell’industria aeronautica nata in Campania e con stabilimenti fino in Canada, nonostante l’acquisizione da parte del gruppo Adler

17.03.2025
Gli operai di Dema S.p.a. manifestano in piazza

Il 2025 potrebbe essere l’anno in cui l’aeronautica italiana volerà un po’ meno, sia a livello di occupazione che di fatturati. Dal 2020 a oggi il settore aerospaziale ha registrato una crescita continua dovuta al post COVID, ma nel periodo della pandemia gli utili avevano avuto una flessione. Non erano solo le compagnie aeree ad aver riscontrato problemi, ma anche tutto l’indotto legato alla produzione industriale. Con la ripresa dei viaggi, però, è iniziata la ripresa: il fatturato ha visto un incremento del 6% annuo e una crescita totale del 13% sul triennio in oggetto. Lo stesso vale per i livelli occupazionali, che registrano una crescita media del 5% e una crescita totale sul triennio del 10%.

Però c’è qualche controtendenza preoccupante, soprattutto nei settori legati all’industria, spesso popolati da piccole e medie imprese. È il caso della Dema, storica società del settore che opera da più di un trentennio, e che ha espanso la propria attività anche oltre l’Italia (dove opera in sette siti) arrivando fino in Canada.

Dema S.p.a., l’indotto dell’aeronautica vola sempre più basso

Dema S.p.A. nasce nel 1993 a Napoli come azienda di progettazione e di ingegneria per il settore aeronautico. Da allora la società ha visto crescere la propria produzione, con l’apertura anche di nuovi stabilimenti produttivi, prima in Campania (Somma Vesuviana e Paolisi) e in un secondo tempo in Puglia, a Brindisi, arrivando ad ampliare la sua offerta produttiva e aprendo addirittura uno stabilimento in Canada, a Montreal.

Di pari passo rispetto alla crescita produttiva viaggia quella finanziaria, con l’ingresso del Fondo San Paolo Imi Investimenti per lo Sviluppo Sgr nel capitale della società, per sostenere e supportare il piano di sviluppo. Nel 2017 attraverso un’operazione societaria straordinaria, il fondo inglese Bybrook Capital Lc, con il supporto della banca d’affari internazionale Morgan Stanley, investe nella società per supportare il piano di riorganizzazione e rilancio.

Il gruppo oggi vanta stabilimenti in Campania, Puglia e Canada, ma da qualche tempo i problemi sembrano essersi moltiplicati. A fine 2024 l’ipotesi è quella di una cessione a Italsistemi, con un taglio del 42% dei lavoratori, che nel giro di pochi giorni però passano a 120. Il sito a rischio è quello di Brindisi, e per questo il ministero decide di intervenire. Fino all’arrivo di un nuovo acquirente, che tranquillizza i lavoratori, ma solo in parte. Anche perché i primi due stipendi (di febbraio e marzo) con il nuovo proprietario arrivano in ritardo.

Dalle stelle alla cassa integrazione

Cassa integrazione e contratti di solidarietà stanno caratterizzando da mesi la vita dei lavoratori di Dema, la cui R.S.U. si sta impegnando non solo nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica e nelle sedi istituzionali, come i tavoli di crisi del ministero del Lavoro, ma anche con un raccolta fondi su GoFundMe per aiutare le famiglie in difficoltà.

Solo a marzo sul tavolo del ministero è arrivata un’offerta per la società, che non più tardi di un anno fa rischiava di dover chiudere il sito storico di Somma Vesuviana, comune di 33.000 abitanti nella città metropolitana di Napoli, la cui economia si regge in buona parte sui dipendenti dell’azienda metalmeccanica che lavora per il settore aeronautico e spaziale. Ma il pericolo non sembra essere passato, nonostante le note positive e le rassicurazioni. Dema S.p.A. ha fatto comunque ricorso alla cassa integrazione, strumento che viene utilizzato con regolarità dal 2009.

Si legge nei verbali del ministero del Lavoro:

“Per Dema S.p.A. si è fatto ricorso agli strumenti di cassa integrazione necessari. In particolare, per il sito di Somma Vesuviana, costituendo un’area di crisi industriale complessa, è stata chiesta la cassa integrazione per 12 mesi a fronte di un piano di intervento di politiche attive; per il sito di Benevento è stato stipulato accordo di proroga della CIGS fino al 31 marzo 2025. A fronte di verifiche effettuate con la Regione Puglia, si è individuata una strada percorribile con una proroga dei contratti di solidarietà subordinata ad un piano di politiche attive volte alla salvaguardia occupazionale”. Stando alle ultime interpretazioni la decisione di ricorrere ancora alla cassa integrazione potrebbe non essere un tentativo di fare melina, ma uno strumento che si inserisce nel quadro più ampio dell’acquisizione della realtà industriale: da parte di CTM Avio S.r.l., altra società che opera nel settore, è arrivata un’offerta di acquisto per Dar (società del gruppo che si trova in un Puglia) e la richiesta alla Regione Puglia di avviare un tavolo per seguirne gli sviluppi.

Una vertenza lunga 16 anni e ancora stipendi in ritardo: non c’è pace per i dipendenti

Nelle prime settimane di febbraio però è arrivato l’ingresso di un altro gruppo, cioè Adler, che ha rilevato la società di proprietà di un fondo (Polus) con sede alle Cayman. La notizia ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai lavoratori, i quali hanno interrotto i 35 giorni di sciopero, ma è solo una cosa momentanea. La situazione sembra essersi risolta, se non fosse che nel giro di poco tempo i problemi si ripropongono, come denunciano gli operai stessi in un comunicato stampa, in occasione della data in cui è atteso il pagamento dei primi stipendi.

“Se il buongiorno si vede dal mattino” attacca il comunicato. “Vogliamo credere si tratti di un caso (nonostante alcuni responsabili di Adler hanno cominciato a dire venerdì che ‘loro pagano il 15’). Fatto sta che oggi è il secondo ‘stipendio’ (importi bassissimi per tutti quindi manco problemi finanziari) che parte in ritardo. Negli anni di vertenza tra il 2009 e il 2025 abbiamo già fatto tutte le esperienze possibili sul tema stipendio, arrivando ad una conclusione. Pagare in tempo lo stipendio è un dovere e qualunque esperienza industriale non abbia questo tema tra i prerequisiti è destinata a galleggiare. I problemi di pagamento di Adler sono noti in tutto il territorio, salvo su qualche tavolo istituzionale dove si finge di non sapere. Ci sono almeno due false partenze dal giorno dell’intesa al Mimit. La partenza è andata a rilento per non aver preso prima in mano la questione produttiva con effetti negativi sui clienti (ricordiamo che la continuità aziendale è un dovere). In secondo luogo ci sono gli stipendi, che nonostante le cifre esigue e l’attenzione che tutta Italia ha sulla vertenza sono partiti in ritardo.

Se questo è l’inizio esortiamo Adler a mettersi al passo dei suoi nuovi dipendenti. Nelle prossime ore verranno indette le ore di sciopero sui temi della vertenza”.

Insomma, nuovi proprietari, ma problemi vecchi, che si trascinano ormai da 16 anni, con una vertenza tra le più lunghe che si ricordino, nonostante il gruppo nuovo rappresenti uno dei marchi chiave nel settore del manifatturiero legato all’aeronautica. Intanto in molti hanno deciso di cambiare lavoro o azienda, vedendo come vanno le cose. E i posti vuoti in ditta cominciano a rappresentare un monito.

 

 

 

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Photo credits: ilmediano.com

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