Photo credits: mur.gov.it

Il senatore Gianclaudio Bressa, intervistato da SenzaFiltro, parla delle azioni governative per contrastare morti e infortuni sul lavoro.
La questione del bando del MUR che chiedeva a 15 lavoratori specializzati di lavorare gratis evidenzia un grave cortocircuito tutto italiano: la ministra Bernini cerca un colpevole, ma il problema è a monte
Antefatto: il ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) pubblica un bando per la ricerca di 15 laureati in ingegneria, economia, matematica e statistica da inserire nel «nucleo di coordinamento delle attività di analisi, studio e ricerca». Un «impegno a tempo pieno» di durata «pari a 18 mesi», prorogabili su richiesta del MUR.
Il link al bando del ministero ha fatto in poche ore il giro di tantissime bacheche social, e già da una decina di giorni, sui forum e nelle chat dei delatori più affezionati, se ne stava discutendo.
Ma al di là dello scandalo “fine a se stesso” (o a favore di qualche visualizzazione in più), ci sono due temi che vale la pena affrontare.
Secondo i dati dell’ultimo rapporto Censis-Eudaimon, pubblicato proprio nelle scorse settimane, il 39,3% dei lavoratori di età compresa tra 15 e 34 anni dichiara di avere un contratto precario o atipico. Un dato popolato in gran parte proprio da giovani laureati.
A questo si aggiunga che il tema dell’equo compenso è uno dei grandi dibattiti su cui (anche) questo governo si sta interrogando senza ancora trovare una via di uscita coerente. Tema fra l’altro che diventa sempre più di attualità laddove ogni giorno c’è un giornale, un post, un commento che riguarda imprenditori che “dicono” di non trovare lavoratori, lavoratori che dichiarano di aver ricevuto offerte irripetibili, il costo della vita nelle grandi città divenuto ormai insostenibile.
E se il governo precedente, con il supporto incondizionato di Confindustria, in sede di Parlamento europeo aveva derubricato il salario minimo ad “argomento non urgente, perché in Italia i lavoratori sono tutelati dai Contratti Collettivi Nazionali” (alcuni dei quali prevedono tariffe orarie al di sotto dei 6 euro e altri che non vengono aggiornati da anni), adesso è tempo di rendersi conto che l’urgenza è diventata emergenza.
Il terzo aspetto che riguarda l’università nello specifico è quello dei neolaureati che lasciano i nostri centri di ricerca e sviluppo o rifiutano offerte aziendali al ribasso per trasferirsi in Paesi dove essere istruiti rappresenta un valore e non un handicap.
Il bando del MUR, in questo senso, non è solo un autogol comunicativo a favore di social, ma rappresenta la dimostrazione di come l’istituzione che dovrebbe maggiormente tutelare e valorizzare il proprio “patrimonio diretto”, cioè i laureati, sia invece la sabotatrice del suo stesso sistema.
Quantomeno legittima dunque la reazione della ministra Bernini per quanto – trasparenza per trasparenza – sarebbe stato molto più apprezzabile parlare di “errore culturale” anziché di “errore tecnico”.
La ministra dichiara di voler conoscere “il colpevole”.
Ma non facciamo l’errore di dare in pasto all’opinione pubblica un Signor Malaussène qualsiasi, quando è evidente che c’è un intero meccanismo che permette di pensare che 15 Persone possano lavorare ANCORA gratis per lo stesso datore di lavoro a cui hanno già ampiamente versato cinque anni di studi (rette, libri, trasferte, fuori sede), con costi che nel nostro Paese saranno ripagati in non meno di altrettanti anni di (eventuale) assunzione regolare per un posto di lavoro possibilmente coerente con quegli studi.
Questo giornale da anni si occupa di verificare le dichiarazioni dei Presidenti delle Associazioni di Categoria, dei singoli imprenditori e delle attività commerciali ospitate ormai ogni giorno dalla stampa, sul tema dei lavoratori che mancano.
Il più delle volte (per non dire quasi sempre) quelle dichiarazioni nascondono situazioni sindacali, ambienti tossici e aspetti reputazionali fin troppo discutibili; altre volte sono frutto di semplice incompetenza nel cercare collaboratori. Oppure si tratta di dichiarazioni inventate al solo fine di cercare momentanea notorietà.
Alcuni colleghi che hanno ancora a cuore questo mestiere hanno pubblicato video-inchieste in cui è evidente e preoccupante come il lavoro sia una “commodity” su cui gli imprenditori per primi fanno fatica a investire.
Ma se le Istituzioni, da cui dovrebbero arrivare i segnali più importanti di rilancio di una cultura del lavoro che oggi è disallineata dalle primarie necessità di chi lo cerca (e in antitesi a qualsiasi forma di responsabilità e di rispetto della legalità), si adeguano al Privato che nelle cronache cittadine del peggior gazzettino di provincia dichiara che i giovani non hanno voglia di fare sacrifici, allora siamo spacciati.
Photo credits: mur.gov.it
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