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L’Italia della medicina: profit o non profit?
Ci chiediamo quali siano gli elementi alla base della professione medica nell’Italia post-crisi di oggi. Vocazione o passione acquisita, non è semplice risolvere il dilemma tra alleviare le sofferenze e scendere in campo o fare il budget e ricondurre il ruolo del medico a quello dell’officier de santé, consorte dell’eroina flaubertiana, più che a quello dell’Ignace Semmelweis […]
Ci chiediamo quali siano gli elementi alla base della professione medica nell’Italia post-crisi di oggi. Vocazione o passione acquisita, non è semplice risolvere il dilemma tra alleviare le sofferenze e scendere in campo o fare il budget e ricondurre il ruolo del medico a quello dell’officier de santé, consorte dell’eroina flaubertiana, più che a quello dell’Ignace Semmelweis narrato da Céline.
Il decreto Lorenzin, che ipotizza un taglio alla sanità di 180 prestazioni considerate inappropriate riapre il dibattito sul ruolo della medicina in Italia, così come sull’identità del medico, a metà tra il mercenario e incline al profitto o volontario votato al terzo settore.
Secondo Faustino Boioli, presidente dell’Associazione Medici Volontari Italiani e primario emerito di Radiologia all’Ospedale Fatebenefratelli di Milano, non è un buon momento per la nostra medicina. “La spesa sanitaria italiana è da anni ai livelli più bassi in percentuale sul PIL rispetto alla media dei Paesi EU, con una differenza che supera il 25%. E, nonostante il sistema regga, negli ultimi tre anni sono apparsi segni di sofferenza: oltre 2,5 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per motivi economici, le prestazioni odontoiatriche sono calate del 30%, così come il numero dei letti per acuti e la spesa farmaceutica pubblica.
Gli ultimi provvedimenti, quindi, cadono in una realtà già “spremuta” e, poiché questi tagli sono lineari, si prospetta un futuro che dovrà fare i conti con il progressivo invecchiamento dei cittadini, ma anche delle difficoltà generate dalla carenza di prevenzione, un aspetto strategico nella difesa della salute.
Eppure, la sanità italiana è sempre stata il fiore all’occhiello per il nostro paese: “Il SSN, finanziato in prevalenza dal gettito fiscale, è fra i più efficienti. E non solo rispetto ad altri paesi europei”, sottolinea Roberto Cataldi, avvocato specializzato in diritto civile, saggista e fondatore della rivista giuridica StudioCataldi.it.
Sarebbe un peccato perdere questo primato, anche perché gli obiettivi dichiarati dall’UE mirano a una protezione della salute sempre più ampia e al miglioramento progressivo della sanità pubblica.
Un SSN accessibile a tutti?
Eppure, le linee guida proposte dal ministro Lorenzin sono sotto gli occhi di tutti: riduzione della spesa pubblica, riorganizzazione dei turni negli ospedali, redistribuzione della spesa farmaceutica, sfoltimento delle prestazioni.
Anche se il fine ultimo del decreto è arginare la medicina difensiva – prosegue Cataldi – siamo di fronte a un segnale pericoloso: ci allontaniamo sempre più dall’idea di una sanità intesa come servizio. Se poi consideriamo anche la riforma del terzo settore, sembra che si voglia rovesciare la logica del welfare, con il rischio di favorire dinamiche di mercato, che potrebbero condurre a una progressiva privatizzazione della sanità. Ma queste misure ambiscono realmente ad arginare la medicina difensiva, secondo cui il medico è responsabile, anche legalmente, delle cure mediche a garanzia della salute del paziente?
Secondo Faustino Boioli, benché i medici siano sottoposti a forti pressioni giudiziarie, la strada da intraprendere è diversa e, solo modificando leggi punitive, saranno arginati i comportamenti difensivi e “diseconomici”.
Per fortuna, il decreto Lorenzin non è stato ancora emanato e, nonostante l’ok del Consiglio Superiore di Sanità, il testo deve ancora passare sul tavolo del Consiglio dei Ministri – prosegue Cataldi. Sta di fatto che, se non interverranno modifiche, il taglio delle 180 prestazioni inappropriate sarà effettivo. Questo deve preoccupare, perché si tratta di un passo indietro rispetto a una grande conquista sociale: un servizio sanitario accessibile a tutti.
Polizze private e pubblica sanità
Secondo Roberto Cataldi, inoltre, i cittadini stanno perdendo fiducia verso la capacità delle istituzioni di garantire loro servizi e preferiscono cautelarsi; e non si può che dare loro ragione: più le coperture pubbliche diminuiscono, più diventa necessario trovare strade alternative. Ad esempio, è cresciuta la domanda di polizze per le cure odontoiatriche e questo accade perché queste prestazioni sono in parte escluse dai livelli essenziali di assistenza.
La situazione è destinata a peggiorare: se il decreto Lorenzin sarà approvato nella sua attuale veste, prolificheranno le prestazioni non coperte dal SSN e, di conseguenza, le polizze integrative. Ma il proliferare della sanità privata facilita anche l’accesso a strutture accreditate col SSN: secondo Faustino Boioli, la polizza garantisce facilitazione di accesso e migliori condizioni. Si tratta, quindi, di una possibilità positiva, ma che, di fatto, introduce una selezione in negativo tra i cittadini: le polizze costano e almeno un terzo della popolazione italiana ne è esclusa. L’universalismo del SSN non può che esserne indebolito.
Un restyling della Carta Costituzionale
Insomma, in Italia la salute è un diritto di tutti e il SSN italiano pone le sue fondamenta nei principi di universalità ed eguaglianza, di equità di accesso alle prestazioni e di responsabilità pubblica, di tutela del diritto alla salute della comunità e della persona. Insomma, nella globalità della copertura assistenziale. Eppure, anche le dichiarazioni più recenti del ministro Lorenzin sembrano andare in direzione opposta. E, in un momento storico all’insegna della rottamazione, anche la Carta Costituzionale, che pur prevede confini netti, sembra essere in fase di restyling neoliberista.
L’art. 32 della Costituzione pone dei limiti ben precisi che non potranno essere messi in discussione da una legge ordinaria, commenta Roberto Cataldi. La norma costituzionale, infatti, non solo tutela la salute come diritto fondamentale della persona, ma prevede espressamente che la Repubblica garantisca cure gratuite agli indigenti. Il punto è proprio questo: oggi l’indigenza viene considerata una condizione in cui si trova chi non ha i mezzi necessari per vivere, e quindi si identifica con uno stato di povertà assoluta; ma si tratta di una soglia troppo bassa: l’indigenza è anche la condizione di chi non ha la possibilità di poter garantire a sé e ai propri familiari uno stile di vita dignitoso. In questo senso è significativo ciò che emerge dall’ultimo rapporto del Censis, secondo cui sono oltre 7 milioni gli italiani indebitati per sostenere spese mediche.
Rottamazione del terzo settore?
Oggi il terzo settore è un sostegno importante per la sanità pubblica e non solo perché sono sempre più numerose le associazioni che affiancano gli operatori sanitari nell’assistenza ai malati, ma anche per le attività come la raccolta di fondi per la ricerca, il finanziamento dei borsisti e la prestazione di servizi di vario genere, prosegue Cataldi.
Ma il terzo settore è anche un’area estesa e complessa. Secondo Boioli, il volontariato medico puro, non retribuito, è marginale e, dati i provvedimenti legislativi in itinere, le attività mediche che esulano dal volontariato rientrano di fatto nella logica del lavoro in cooperativa sociale o del lavoro dipendente.
Questo aspetto ha contribuito a delineare un vero e proprio fenomeno di autoesclusione, che consiste nell’impossibilità pratica – per i cittadini migranti, ma anche per gli italiani marginalizzati – di usufruire del diritto alle cure esistente, poiché questo non è accessibile.
A differenza degli altri paesi europei, peraltro, l’Italia non dispone di una normativa organica in materia e si limita a riconoscere le varie “anime” che compongono l’universo del non profit. A ciò dovrebbe sopperire il ddl di riforma oggi all’esame del Senato che, conclude Cataldi, mira ad una revisione organica della legislazione, ma che, da più parti e dallo stesso mondo delle associazioni, è visto più come un’occasione mancata. Insomma, un’apertura rischiosa alla privatizzazione e all’asservimento del terzo settore alle logiche di mercato.
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