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Lobby e interessi deboli dal 1976 al 2015
Risale al lontano 1976 il primo disegno di legge teso a regolamentare l’attività professionale della lobby (Achilli, Bogi, Mastella) seguito poi dal successivo (Aniasi, Bogi e Quercioli). Entrambi prevedevano l’obbligo per gli uffici del Parlamento di agevolare e assistere la rappresentanza dei cosiddetti “interessi deboli”, al fine esplicito di promuovere la parità di condizioni di […]
Risale al lontano 1976 il primo disegno di legge teso a regolamentare l’attività professionale della lobby (Achilli, Bogi, Mastella) seguito poi dal successivo (Aniasi, Bogi e Quercioli). Entrambi prevedevano l’obbligo per gli uffici del Parlamento di agevolare e assistere la rappresentanza dei cosiddetti “interessi deboli”, al fine esplicito di promuovere la parità di condizioni di partenza, nonché di assistenza a tutti gli interessi che, allora come oggi, condizionano il nostro processo decisionale pubblico (in Parlamento, ma anche nei Comuni, nelle Regioni e in tutti gli altri corpi intermedi dello Stato).
Oggi, si parla ancora di regolamentare le attività di lobby ma non più (l’argomento parrebbe scomparso) di assistere chi quelle attività non se le può permettere, o per potere di acquisto o per competenze professionali, che vanno quasi sempre insieme. Sono passati quarant’anni e, in realtà, poco è cambiato.
Le lobby continuano a non essere regolamentate poiché né gli interessi forti, né i funzionari e i parlamentari che a quelli ubbidiscono per default, intendono essere regolati o osservati nelle rispettive attività. Gli interessi forti continuano le loro baruffe nei corridoi parlamentari, come anche nella costruzione dell’agenda del discorso pubblico attraverso un sistema mediatico compiacente quando non complice. Certo, ci sono i conflitti fra gli stessi interessi forti e da sempre questo è lo spazio di azione per gli interessi deboli che, oggi come allora, possono soltanto cavalcare gli eventuali scontri fra i potenti per insinuare le proprie posizioni, specie oggi che i primi usano gli argomenti dei secondi per apparire sostenibili.
Il forte, relativamente recente, ricambio dei parlamentari ha sicuramente agevolato l’ingresso di nuovi soggetti ma, qualora anche si preoccupassero di interessi deboli (tutto da dimostrare…), l’inesperienza e la selva di comma 22 e di regolazioni e processi legislativi incomprensibili rende la loro vita impossibile fino a quando, esausti, abbandonano il compito per il quale erano state, forse, elette. Intendiamoci, interesse forte non implica necessariamente e sempre potere economico, anche se è spesso così; così come interesse debole non implica necessariamente scarsità di potere economico, anche se è spesso così. Quindi, anche noi, per default, generalizziamo dicendo che gli interessi forti sono ricchi e quelli deboli no.
Detto questo, è di questi giorni la presentazione di una mozione firmata da molti dei più autorevoli e reputati lobbisti (di azienda, di organizzazioni sociali, di società di consulenza…) che invitano la costituenda ConFerpi (confederazione delle relazioni pubbliche italiana) -uno “spazio” aperto a chiunque sia interessato ad agire insieme affinché le relazioni pubbliche rafforzino, rinnovandosi, la loro legittimità sociale- a operare affinché, anche grazie alla introduzione propositiva di prassi e regole di comportamento e di rendicontazione condivise, lo spazio della decisione pubblica diventi anche terreno di confronto e di decisione democratica e rappresentativa, a parità di opportunità, degli interessi sociali deboli.
Il fantasma dunque si riaffaccia dopo quarant’anni. Solo che lo stesso concetto di ‘interesse sociale debole’ è fortemente cambiato e quindi va ridefinito. Per farlo ci sono diverse modalità e sono necessarie competenze nuove. Non solo quelle, sempre valide, che hanno a che fare con le tematiche giurisdizionali e quei consolidati processi per creare coalizioni con altri, sia tattiche che, eventualmente, strategiche destinate ad influire sulla decisione. Il cambiamento quotidiano dell’influenza del discorso pubblico (media vecchi e nuovi) sull’agenda setting e sui processi decisionali richiedono infatti una particolare attenzione. Insomma, pochi dubitano che, ad esempio, l’Eni non sia un interesse forte, ieri come oggi. Ma che possiamo dire di, sempre ad esempio, Lega Ambiente? E che dire degli anziani e di tutti coloro che, per necessità o per virtù, non dominano i meccanismi dei media digitali? Insomma, c’è da lavorare e da sperare che i soggetti che aderiranno a questo nuovo “spazio” di ConFerpi possano, in accordo e in collaborazione con gli organi direttivi dello Stato, garantire competenze giuridiche e professionali ai nuovi ‘interessi deboli’ per assisterli, pro-bono o quasi, nella loro legittima rappresentanza di interessi che di certo non guasterebbe alla sopravvivenza del processo democratico del nostro Paese.
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