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Napoli: ufficiale (medico) e gentiluomo contro il coronavirus
Mani coperte dai guanti che accarezzano quelle di pazienti spaventati, la mascherina sul volto che lascia scoperti solo due grandi occhi chiari che parlano ai degenti quando non è possibile esprimersi con le parole, il camice bianco e la mimetica. Fabio Rispoli è un giovane dirigente medico anestesista-rianimatore del Policlinico Federico II di Napoli, nell’equipe […]
Mani coperte dai guanti che accarezzano quelle di pazienti spaventati, la mascherina sul volto che lascia scoperti solo due grandi occhi chiari che parlano ai degenti quando non è possibile esprimersi con le parole, il camice bianco e la mimetica. Fabio Rispoli è un giovane dirigente medico anestesista-rianimatore del Policlinico Federico II di Napoli, nell’equipe del professor Servillo e Capitano medico del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana (CRI), impegnato da settimane tra Napoli e Roma nell’emergenza COVID-19. Di tempo libero ultimamente non ne ha più avuto, impegnato nella sua doppia veste contro quello che definisce un “nemico invisibile”, ma il modo di raccontare cosa accade dietro quelle porte, invalicabili persino per i famigliari delle persone ricoverate, riesce generosamente a trovarlo. È anche questo un suo modo di essere vicino agli altri, aiutando a capire, con tono pacato e un linguaggio semplice, una realtà che mai nessuno avrebbe potuto immaginare.
“Al di là dei casi che passano come una semplice influenza, o che sono asintomatici, il COVID-19 può produrre in molti contagiati una polmonite anche molto grave, che può richiedere assistenza respiratoria con ventilatore meccanico. L’anestesista è la figura professionale che viene chiamata proprio quando un paziente non è più gestibile in un reparto ordinario, e si aggrava così tanto da richiedere cure rianimatorie. La persona che non respira bene ha già di per sé difficoltà a parlare; se valutiamo che le può essere messo un presidio respiratorio, quale ad esempio il casco o la maschera che copre tutta la faccia, non sarà più in grado di comunicare con la voce. Chi ha anni di esperienza alle spalle può capire dallo sguardo e dai gesti se il paziente è sofferente o vuole comunicare qualcosa”.
Mentre spiega questa realtà il dottor Rispoli si ferma per un lungo istante. In quel silenzio c’è tutta la pietas di chi, pur indossando da anni il camice bianco in un reparto dove le criticità sono molte, si trova in una situazione inedita, dove le relazioni umane sono minacciate tanto quanto la salute. “Spesso i pazienti ti cercano la mano quando non possono parlare, così si sentono più sicuri, in particolar modo gli anziani. La persona che permane cosciente, che non è sottoposta a sedazione, troverebbe conforto nella visita dei famigliari, ma la pandemia ha tolto anche questo. Siamo le uniche persone che stanno intorno a loro, l’unico riferimento. Da rianimatore dico che il problema non è di chi spira, ma di chi resta, perché specialmente in questa situazione c’è uno stacco, un’interruzione che non è umana. I parenti non possono vedere né salutare per l’ultima volta i propri cari, non si possono fare le esequie nel modo tradizionale. La rielaborazione del lutto in queste circostanze è molto più difficile. Molte famiglie scelgono la cremazione, che non è un obbligo, ma è auspicabile per via della resistenza del virus anche in corpi privi di vita”.
Il ruolo dei militari e dell’Ufficiale medico durante la pandemia: formazione, monitoraggio e trasporto
L’immagine della colonna di mezzi militari di fronte agli ospedali di Bergamo è ben impressa nella mente di tutti, e forse entrerà nei libri di storia. Su quei mezzi c’erano e continuano a esserci uomini e donne delle Forze Armate. “Come Croce Rossa Militare abbiamo portato quarantotto celle frigo a Piacenza, dove c’è stato un grosso problema di gestione perché sia le ditte di trasporto funebre sia il crematorio non riuscivano più a stare dietro all’elevato numero di salme, dovuto alle morti per pandemia”.
Come già accaduto in situazioni di emergenza legate a terremoti o alluvioni, anche nell’emergenza COVID-19 il dottor Rispoli è intervenuto non solo in camice bianco, ma anche in mimetica. “In qualità di Capitano medico anestesista mi sono occupato di tutta la parte di aggiornamento dei materiali e dei presidi riguardanti l’ospedale da campo del Corpo Militare CRI di Roma. Ho provveduto direttamente alla scelta di ventilatori polmonari, apparecchi di monitoraggio, trasferimenti di pazienti positivi, controllo delle ambulanze che sono andate in Lombardia”.
L’ufficiale medico si è inoltre occupato degli aspetti relativi all’igiene e profilassi dei militari all’interno delle caserme, ma anche di quelli che sono andati nelle zone rosse, dalla partenza al rientro in caserma, con tutti i protocolli da seguire, che vanno dalla vestizione con i dispositivi di protezione individuale fino all’eventuale quarantena. “Come militari di CRI abbiamo una formazione specifica nel soccorso, conosciamo i dispositivi di protezione e di biocontenimento meglio degli altri militari ”.
Il Capitano medico Fabio Rispoli: “Non riusciremo a fermare il COVID-19, ma solo a rallentarlo”
In Campania, regione in cui il dottor Rispoli opera come medico, la situazione sanitaria regge. Gli ospedali hanno riconvertito molti reparti per affrontare l’emergenza, e a Napoli sia l’Ospedale del Mare sia il Loreto Mare sono stati individuati come strutture per accogliere pazienti COVID-19 positivi. “Si stanno comunque preparando nuovi posti di terapia intensiva per timore di una nuova recrudescenza dovuta alle belle giornate, che creeranno in molte persone la tentazione di uscire per andare a far visita a parenti e amici. Un concetto che secondo me dovrebbe essere spiegato alla popolazione è che in verità noi non riusciremo a bloccare il propagare dell’epidemia. Queste norme restrittive servono a far sì che la diffusione della pandemia sia graduale, lenta, che coinvolga un numero di pazienti gestibile, e non mandi letteralmente in tilt il Sistema Sanitario Nazionale. Avremo una situazione di relativa tranquillità solo quando sarà superata la soglia di immunizzazione per il 70% della popolazione (per contagio e/o per un vaccino che speriamo esca quanto prima). Sappiamo che molti supereranno il COVID-19 con sintomi simili ad una influenza oppure senza mostrare alcun sintomo”.
Non si può ancora abbassare la guardia, anche se diminuiscono i contagi. Da dietro gli occhiali il dottor Rispoli legge alcuni messaggi arrivati sul cellulare, diventato da quasi due mesi l’unico modo per restare in contatto con la famiglia, in particolare con la figlia di undici anni e sua moglie, avvocato di professione e infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana, anche lei impegnata in questa emergenza. Nella versione di padre e marito, il medico non nasconde le sue emozioni. “La tengo informata, le mando video e foto adatti alla sua età per coinvolgerla. È un modo per sentirla vicina in questo periodo in cui la lontananza fisica è imposta in modo così duro. Sono napoletano, per noi il contatto fisico è importante e non poterla abbracciare non è facile”. Scende di nuovo un silenzio carico di significati. Dentro quei camici e quelle divise ci sono uomini e donne che da almeno due mesi vivono in una impegnativa solitudine.
“Come medici abbiamo capito fin da subito che questa è una malattia molto contagiosa, con effetti terrificanti sull’organismo. Sebbene consapevoli di tutto questo, ci siamo assunti le nostre responsabilità e abbiamo fatto in piena coscienza il nostro dovere. Ci sono più di 140 medici morti in Italia dall’inizio dell’epidemia, e anche tanti infermieri, OSS e soccorritori. Fanno bene a dire che non siamo eroi. Gli eroi sono personaggi come Nazario Sauro; ma l’eroe è chi fa una o due azioni esemplari, poi passa. Noi facciamo un’azione continua, con un’esposizione ininterrotta. Per i pazienti, per la loro salvezza, facciamo sempre del nostro meglio. Nessuno viene abbandonato o lasciato solo”.
Sarebbe veramente auspicabile che dopo quello che c’è stato negli ultimi anni contro la classe medica, tra tagli, attacchi e denunce, si rivalutassero queste figure di persone che si prodigano per gli altri, e allo stesso tempo che si riconoscesse alle donne e agli uomini in divisa come questi il valore di portatori di pace. “Sono stato volontario della CRI dal 1999 al 2004, e dal 2004 faccio parte del Corpo militare CRI. Per me vestire l’emblema sul braccio sinistro, stare qui e avere la possibilità di affrontare questa epidemia da Ufficiale medico CRI è una grandissima soddisfazione. Sono orgoglioso di quello che stiamo facendo. La gente sa di poter contare sulla nostra presenza, sul nostro servizio. Ci arrivano molti messaggi di sostegno e incoraggiamento, e come miliare, medico e uomo devo dire che danno una grande gratificazione”.
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