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Quirinale, se Berlusconi avesse detto: “Rimborseremo i tamponi, lo farò io da Presidente della Repubblica”
Lunedì 24 gennaio: italiani, si vota. Non proprio tutti noi – la repubblica parlamentare non ci è stata ancora scippata – ma i nostri rappresentanti. Nelle ultime settimane, però, ho tremato più del solito davanti ai nostri rappresentanti: politici impegnati a ritmo serrato per ragionare sulla possibilità di un Berlusconi Presidente della Repubblica. Davvero questa […]
Lunedì 24 gennaio: italiani, si vota. Non proprio tutti noi – la repubblica parlamentare non ci è stata ancora scippata – ma i nostri rappresentanti. Nelle ultime settimane, però, ho tremato più del solito davanti ai nostri rappresentanti: politici impegnati a ritmo serrato per ragionare sulla possibilità di un Berlusconi Presidente della Repubblica. Davvero questa Italia non ha più un senso della vergogna; se potessi, rivorrei indietro parte del compenso mensile di questa gente che siede nei luoghi della democrazia politica e si dedica giorni e giorni a ragionare sull’assurdo, sull’immorale, sull’apolitico.
Glieli conterei uno ad uno in busta paga: giusto per ricordare quanto guadagnano sommando varie voci tra netti mensili, diarie e rimborsi, i componenti del Senato portano a casa oltre 14.500 euro contro i poco meno di 14mila circa percepiti invece dai deputati. Ci siamo capiti.
Avere cittadinanza italiana, aver compiuto i 50 anni di età, godere dei diritti civili e politici: l’art. 84 della Costituzione parla chiaro quando elenca i requisiti di eleggibilità a Presidente della Repubblica. A Berlusconi, nell’ultimo ventennio, sono mancati però i doveri civili e politici, di diritti se ne è arrogato anche troppi. Ma la data di oggi, a chi vive non da bolla ma da Paese, dovrebbe emozionare quanto l’inizio dei mondiali di calcio col palpito di alzare la coppa alla fine dei giochi. Invece non interessa più di tanto: ho sondato, ho ascoltato, ho chiesto ad amici e parenti, ho seguito i social di persone comuni come me per intercettare un anelito. Poca roba in giro, se non commenti buttati lì come si butta via una cicca per strada con inerzia.
Fino al suo passo indietro di non troppe ore fa, ho tremato che il Cavaliere ormai dimezzato potesse ripiombare davanti alle telecamere tv e dichiarare a tutti: “Rimborseremo i tamponi a tutti, lo farò io da Presidente della Repubblica”. I parlamentari avrebbero esitato un po’, poi si sarebbero fatti ognuno due conti, avrebbero ragionato sottobanco e pensato a tutte le lobby entusiaste e alla fine avremmo rischiato che chiudessero gli occhi su tutto, e anche la bocca, e concludessero con un “perché no, di questi tempi?”. E chi se lo scorda alla vigilia delle politiche del 2013 quel “Rimborseremo l’IMU, sarò io come Ministro dell’Economia a restituire i soldi agli italiani”. In pienissima zona Cesarini, per uno che di calcio ne aveva mangiato e come: quante richieste di rimborso arrivarono nei mesi a seguire da chi aveva preso sul serio l’ennesima bugia della politica.
Il nome di un candidato “ideale”
Insomma, crediamo a tutto ormai. L’aggettivo “ideale” è passato sulla bocca di ogni segretario nazionale nelle ultime ore per esprimere chi vorrebbe al Colle. Eppure ideale rimanda immediatamente a un mondo distante dalla vita di noi cittadini e non può convincerci. Vorrei dicessero: “Proporremo un nome reale”, intendendo concretezza, affiliazione ai problemi veri, passione verso la sempre più densa solitudine emotiva e sociale degli italiani. Questo vorrei.
Ideale riporta a Platone, al suo celebre “mondo ideale”. Al suo concepire la politica come un miglioramento morale degli uomini e quindi, per poter creare comunità che mirano a far valere i valori di giustizia e bene comune, l’unico modo è mettere al vertice chi non ha un proprio interesse da far valere o difendere. Platone ne era convinto: i filosofi sarebbero ideali per ricoprire quella carica. Oggigiorno direi che è di politici che manchiamo e non di tecnici e forse anche il filosofo verrebbe tacciato di esserlo, a noi mancano politici desiderosi di porsi domande e non di blaterare risposte; li abbiamo già ridotti di numero e alle prossime politiche saranno 600 i nuovi rappresentanti che porteremo in Parlamento e non più i 945 che si dividevano tra i due rami. Rami secchi, purtroppo. Un Presidente-filosofo sarebbe un bel colpo di genio per questa Italia diventata analfabeta di orizzonti sociali e di interrogativi vitali. Del resto quanto italiani avevano creduto al “Presidente operaio” del 2001, a quel Berlusconi che dichiarava “Non farò la prima ballerina come il centro-sinistra che mi ha preceduto finora”? Sempre troppi.
Sì, vorrei che la Coppa del Colle la alzasse un Presidente-filosofo e non vedrei l’ora di ascoltare il suo discorso di insediamento rispetto alle frasi di circostanza che riempiono i fogli istituzionali, pronunciate con quel tono di voce a cui non crede più nemmeno il Presidente stesso di turno per quanto banali e retorici sono i concetti espressi. Se i corazzieri del Quirinale potessero anche solo fare un cenno durante i discorsi ufficiali dei loro datori di lavoro.
Ci manca un Presidente della Repubblica che abbia voglia di portarci via da questa Italia pur restando tutti qui.
Qui la gente ha fame e non solo di pane e lavoro.
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