Il docente ed esperto di urbanistica Bertram Niessen, cofondatore dell’associazione cheFare: “Chi governa Milano non considera il problema di caro affitti e sfruttamento. Ci sarà un peggioramento, il mercato crescerà almeno fino alle Olimpiadi invernali”
Lombardia in crisi: sembrava una locomotiva, invece era un calesse
La crisi lombarda è conclamata e multisettoriale, dalla metalmeccanica al tessile, e mette alle corde un mito in difficoltà già da tempo. L’economista Roberto Romano a SenzaFiltro: “La Lombardia rallenta da decenni. Il PIL lombardo al 33esimo posto in Europa, e in rapporto agli investimenti è uguale alla Campania”
Esiste una vulgata secondo la quale la Lombardia rappresenta la locomotiva dell’economia italiana e uno dei motori di quella europea. Come tutte le vulgate vive di vita propria, spesso sfidando evidenze e dati di fatto. Un racconto dai toni trionfalistici, sbandierato da associazioni degli imprenditori e istituzioni, regionali e non solo, che parla di una Regione capace di generare un quinto del PIL italiano e di posizionarsi, se la considerassimo come uno Stato, al decimo posto tra i 27 dell’Unione per Prodotto interno lordo, appunto, con oltre 480 miliardi di euro nel 2023.
Poi però c’è la realtà del tessuto produttivo locale, che si capisce solo andando a metterci le mani dentro, spulciando i dati, parlando con chi lavora, e che scardina i luoghi comuni. Una realtà che fa capire come ciò che sembrava una locomotiva, in realtà, è diventato un calesse; che quella che alcuni definiscono “tenuta”, con altre lenti, si possa definire stagnazione – e non da oggi. Rincaro delle materie prime e dell’energia, crisi dei Paesi tradizionalmente clienti della manifattura lombarda come la Germania, politiche protezionistiche d’oltreoceano (non solo quelle che vengono prospettate dal 6 novembre, ma quelle già in essere volute dall’amministrazione Biden) e, alla base di tutto, una politica industriale inesistente che ha mantenuto in vita le aziende a suon di bonus e sgravi fiscali: sono gli elementi che hanno mandato in panne il motore economico del Paese. A partire da settori considerati i punti di forza del tessuto produttivo lombardo, dal metalmeccanico al tessile al calzaturiero.
Il campanello d’allarme lo suona perfino la Banca d’Italia, sancta sanctorum del liberismo finanziario nostrano, che di recente ha evidenziato una serie di dati preoccupanti per l’economia lombarda: il PIL dei primi tre trimestri del 2024 è cresciuto soltanto dello 0,4%, in linea con quello – modestissimo – nazionale, ed è contestualmente calata dell’1,2% la produzione dell’industria, dove si contraggono anche le ore lavorate.
Metalli sempre più leggeri: da dove ha origine la crisi della Lombardia
Il settore metalmeccanico è uno di quelli in maggiore sofferenza in Regione. Con 43.000 aziende, per la metà artigiane, le imprese lombarde del settore rappresentano il 3,5% del totale italiano e danno lavoro a 515.000 persone, quasi il 26% di tutti i lavoratori metalmeccanici del nostro Paese.
Una grande fetta del comparto ruota intorno all’automotive, che conta 30.000 attività e oltre 96.000 addetti e contribuisce al PIL regionale per il 4,3%, oltre al 3,6% dell’export (6 miliardi di euro nel 2023). Se vogliamo guardarla bene, questa locomotiva che si è fermata, possiamo partire proprio da qui.
Nel 2023 in Lombardia sono state 460 le aziende metalmeccaniche che hanno chiuso i battenti. Sono quasi tutte piccole imprese artigiane che non sono riuscite a sopravvivere al rincaro dei costi energetici, al calo degli ordinativi, alla recessione della Germania, principale mercato di sbocco dei loro prodotti, e alla crisi generalizzata di un settore – l’automobilistico – che in Italia ormai non esiste più, abbandonato da multinazionali che vampirizzano le aziende locali e da una politica incapace di un progetto e una visione industriale. Il risultato è che, tra il 2023 e il 2024, in Lombardia le richieste di cassa integrazione nelle imprese artigiane del settore sono aumentate del 24%, ossia, in un solo anno, 1.000 attività e 6.500 dipendenti in più.
Il settore del lusso va in cassa integrazione
Ma non di sola auto muore la Lombardia, patria del fashion, con le sue sfavillanti settimane milanesi della moda e quel 16,5% delle aziende italiane attive nei settori di tessile, abbigliamento, calzature e pelletteria a coprire un terzo dell’export nazionale del settore; circa 18 miliardi di euro.
Stando ai dati Unioncamere, sono proprio questi comparti a mostrarsi più in affanno nel panorama dell’economica regionale. Trascinati nella crisi dalle difficoltà del settore del lusso, che nel 2024 in Italia ha perso il 2% del proprio giro d’affari, stanno subendo contrazioni in tutte le voci dell’analisi economica, dal fatturato alla produzione, dall’export al ricorso agli ammortizzatori sociali, sia per le industrie che per le aziende artigiane.
Nel terzo trimestre di quest’anno, l’industria tessile lombarda ha perso il 9% di produzione, il 3,7% di fatturato e il 6% di ordinativi dall’estero, mentre produzione e fatturato del settore pelli/calzature sono calati, rispettivamente, del 7,1% e del 4,4%. E, se l’industria piange, neanche le attività artigiane ridono, con perdite di fatturato e produzione di circa il 4% nel tessile e del 4,3% e del 6,5% nel settore pelli/calzature. Fra i distretti tessili e della moda più colpiti in Italia c’è Varese, che nel primo semestre del 2024 ha subito il calo più importante in termini percentuali nelle esportazioni, con una perdita di 199 milioni di euro (-28,7%).
Il ricorso agli ammortizzatori sociali è la cartina di tornasole di un panorama desolante: le industrie di queste categorie produttive stanno progressivamente incrementando la quota di cassa integrazione sul monte ore, raggiungendo un aumento su base annua del 3,5% nel tessile e del 1,4% nel settore pelli/calzature. I lavoratori artigiani cassaintegrati di quest’ultimo comparto sono passati, tra gennaio-agosto 2023 e gennaio-agosto 2024, da 549 a 1.206, e le aziende che hanno fatto richiesta da 108 a 249. Parliamo di un incremento dell’82% in un anno.
L’economista Roberto Romano: “La Lombardia rallenta da decenni e non è ai livelli UE”
Insomma, ha davvero ancora senso parlare di locomotiva, di economia regionale di respiro così ampio da poter essere equiparata a quelle dei Paesi europei più forti? Perché, diciamo la verità, un minimo di coerenza aiuterebbe tutti ad avere una visione delle cose magari meno trionfalistica, ma di certo più attinente alla realtà. E allora, se la Lombardia più che Regione italiana è considerata piccolo Stato europeo, è con l’Europa che bisogna confrontarla.
Lo ha fatto Roberto Romano, economista, già assistente del Presidente della Commissione industria della Camera dei deputati Nerio Nesi dal 1996 al 1999 ed esperto, tra l’altro, di bilancio pubblico, politica industriale e partecipate pubbliche.
“Si parla tanto del PIL lombardo, decimo tra quelli dell’UE a 27, ma è ormai solo un mito”, dice Romano. “I dati, presi così, non significano nulla. È necessario considerare l’economia lombarda nello storico e nel contesto di quelli che si ritengono i suoi competitor, gli altri Paesi europei. È lì che il mito crolla, che la narrazione cambia. La verità è che la ‘locomotiva’ Lombardia, nel confronto europeo, sta rallentando da decenni”.
Roberto Romano, insieme con Paolo Maranzano, ricercatore del Dipartimento di Economia dell’Università di Milano Bicocca, lo spiega in un saggio in via di pubblicazione dedicato proprio al posizionamento delle Regioni italiane rispetto a quelle europee nel corso degli ultimi trent’anni: il PIL pro capite in Lombardia, tra il 1995 e il 2023, è passato dal 14esimo al 33esimo posto nella classifica dei Paesi europei.
“Nessuna delle Regioni italiane, comprese quelle più industrializzate, ha tenuto il passo europeo dopo il 1995, sia in termini di PIL pro capite, sia in termini di PIL per occupato. Eppure da noi si è continuato, e si continua ancora, a parlare di un Nord ricco e operoso e un Sud pigro e nullafacente”, commenta l’esperto.
Anche il rapporto tra reddito da lavoro dipendente e PIL è un ottimo elemento di valutazione dell’economia, perché dà la misura del peso del lavoro salariato. “Negli ultimi quarant’anni il rapporto salario-PIL è rimasto prossimo al 50% nei principali Paesi europei. In Lombardia, invece, tra il 1995 e il 2023 è rimasto stabile al 40,02%, 150esimo posto nella classifica europea. Così, anche la retribuzione oraria media resta ancora troppo distante dalle migliori Regioni UE, rispetto alle quali la Lombardia passa dal 72esimo al 107esimo posto tra il 1995 e il 2023”.
La Lombardia non punta su investimenti e ricerca: “Per guadagnare si è affidata agli sgravi fiscali”
Il mito crolla anche sul fronte degli investimenti: la Lombardia, così come la maggior parte delle Regioni italiane, rimane distante e sostanzialmente stabile nel rapporto investimenti-PIL, passando dal 149esimo posto del 1995, con il 17,3%, al 114esimo del 2023, con il 20,5%, valore più basso di quello di Veneto e Piemonte (rispettivamente al 23,2% e 26,9%) e uguale a quello della Campania.
Non va meglio per ricerca e sviluppo, voce che resta residuale in rapporto al PIL: in questo caso la Lombardia dal 59esimo posto del 2003 (1,11%) crolla al 129esimo del 2021 (1,29%), lontano non solo dai maggiori competitori europei, ma anche da altre Regioni italiane, come il Piemonte e Campania, rispettivamente 60esima e 125esima del 2021. Quanto sia irrisorio il dato lombardo emerge ancora di più se pensiamo che la Leonardo S.p.A. rappresenta da sola il 30% degli investimenti italiani in ricerca e sviluppo.
“Gli investimenti sono una variabile economica che restituisce come le imprese immaginano il proprio futuro”, dice Romano. “Se gli imprenditori si aspettano un incremento di PIL e consumi, gli investimenti tendono ad aumentare, se invece si attendono una crescita contenuta, gli investimenti tenderanno a comprimersi”. D’altra parte, se non si fanno investimenti – anche e soprattutto in ricerca e sviluppo – non si possono produrre cose nuove e si smette di essere competitivi. “Se non si è competitivi, l’unico modo per guadagnare è affidarsi agli sgravi fiscali. Ed è quello che ha fatto l’industria lombarda negli ultimi decenni”, spiega Romano.
Questo è il presente, che arriva da lontano. E il futuro? La recessione tedesca sta già togliendo, e toglierà ancora, una fetta importante del mercato estero alle aziende della Lombardia, mentre i dazi annunciati dal presidente statunitense Trump, ancora più penalizzanti rispetto a quelli già imposti da Biden, saranno un’altra mannaia, soprattutto per le piccole imprese, che finora sono riuscite a stare a galla con gran fatica. “In fondo”, dice Romano, “questi elementi non faranno altro che accelerare un processo già in corso”.
L’analisi è impietosa, il mito smantellato. Il re, anzi la locomotiva, è nuda.
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