Ammalarsi di mobbing è possibile, una lezione che le professioniste intervistate in questo articolo conoscono fin troppo bene. I sintomi e le estreme conseguenze dello stress lavorativo derivato dalle discriminazioni di genere.
Il girone dei lavoratori: 18.000 vittime per il caldo ma le aziende non si fermano
Il dato italiano dei morti sul lavoro correlati al caldo è il più alto in Europa; dai 35° le imprese potrebbero avvalersi della cassa integrazione, mentre nel resto dell’UE ne bastano 30. Il quadro impressionante fotografato con Francesco Tuccino e Massimo Pedretti di USB, e con il sociologo Marco Omizzolo
È morto d’infarto, stroncato dal caldo, mentre stava manovrando una gru nel cantiere Amazon di via Coppetella a Jesi. È un operaio campano di 75 anni l’ultima vittima del caldo eccezionale che sta investendo da giorni la penisola italiana.
Sempre nella giornata di mercoledì 19 luglio hanno perso la vita un camionista serbo di 62 anni, trovato morto nell’abitacolo del suo camion, a Castenedolo, poco distante da Brescia, e un operaio sessantacinquenne, rinvenuto senza vita dai colleghi all’interno del suo alloggio privato nel campo base di Lonato del Garda. Anche in questo caso a essere fatali sarebbero state le temperature roventi.
Nelle ultime due settimane anche un panettiere e altri due operai sono morti sul luogo di lavoro a causa del caldo record. Una strage che non rappresenta più un’eccezione, ma una realtà pericolosa a cui ci stiamo abituando.
Ogni anno l’INAIL stima oltre 4.000 infortuni sul lavoro collegati al caldo. Già l’estate scorsa casi di questo tipo sono stati numerosi, alcuni anche con esito mortale. Una situazione destinata a peggiorare a causa del riscaldamento globale: nella stagione estiva 2022, infatti, il nostro Paese ha registrato la più alta mortalità per caldo eccessivo in Europa, raggiungendo gli oltre 18.000 decessi su un totale di 61.672 in tutto il continente.
Troppo caldo al lavoro, la produttività prima di tutto: le norme non vengono applicate
Le temperature elevate rappresentano, nei posti di lavoro, un grave rischio per la salute e per la sicurezza dei lavoratori. In questi giorni l’INPS ha ribadito che sopra i 35 gradi – anche solo percepiti – le aziende possono chiedere la cassa integrazione ordinaria (CIGO; in altri Paesi europei la soglia è fissata a 30 gradi), ma non è l’unica norma esistente in materia.
Oltre alla circolare INPS n. 139 del 2016, c’è il Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, in particolare l’allegato IV, dove vengono specificate le misure e le condizioni da soddisfare per garantire ai lavoratori un microclima adeguato.
“Il testo non entra nello specifico, non parla ad esempio di soglia minima o massima di gradi da rispettare”, dice Francesco Tuccino, portavoce di USB (Unione Sindacale di Base) dell’area Sicurezza sul lavoro. “L’obbligo resta generico e si potrebbe migliorare. Ad esempio, si potrebbe inserire una tabella dove viene specificata la temperatura di riferimento per i luoghi di lavoro in base alle diverse tipologie di attività (agricoltura, settore edile, logistica…)”
Anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) si è espresso sul tema con una circolare intitolata Tutela dei lavoratori sul rischio legato ai danni da calore, in cui si parla della necessità di considerare misure atte a mitigare i rischi durante le ore più calde della giornata, tra le 14 e le 17, tra cui interventi specifici per mansioni particolari, attività che richiedono un intenso sforzo fisico o per quelle che prevedono l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale. L’INL ribadisce poi che in questi casi il mancato rispetto delle misure di prevenzione e protezione dei rischi può portare alla sospensione dell’attività dei lavoratori in seguito a un accertamento degli ispettori del lavoro.
Nelle sue linee guida per la gestione del rischio in caso di temperature elevate, l’INAIL sottolinea inoltre l’importanza dell’idratazione, dell’organizzazione dei turni di lavoro, di un abbigliamento consono e della possibilità di accedere ad aree ombreggiate durante le pause. Oltre a queste misure, l’INAIL prevede la necessità per le aziende di adottare precauzioni specifiche per le categorie di lavoro più fragili o a rischio in caso di caldo estremo, come chi soffre di tiroide, obesità, diabete, asma, bronchite cronica e patologie cardiovascolari.
Solo quando il datore di lavoro non è in grado di assicurare gli standard di sicurezza minimi e condizioni di lavoro dignitose ai propri dipendenti in caso di temperature elevate, l’azienda può chiedere la cassa integrazione ordinaria. Per questi motivi la CIGO viene ancora oggi considerata un’eccezione alla regola, una soluzione estrema a cui le aziende preferiscono non ricorrere, per evitare di bloccare la produzione o di abbassare i livelli di produttività.
Ad oggi, nonostante la gravità della situazione, solo Puglia, Calabria e Basilicata hanno emesso ordinanze che vietano il lavoro quando il caldo estremo rappresenta un rischio elevato per la salute.
Il caso dei braccianti stranieri nel Lazio (e non solo). Marco Omizzolo, sociologo: “In molti casi costretti ad assumere dopanti”
Lavorare all’aperto con temperature che raggiungono o superano i quaranta gradi centigradi è una sfida alla sopravvivenza e rappresenta spesso un serio rischio per la salute. Soprattutto per alcune categorie professionali, come gli agricoltori, i braccianti, i pescatori, gli operai e chi lavora nell’edilizia e nella logistica.
“Nelle campagne laziali si continua a lavorare sotto il sole cocente anche con temperature record. La sospensione delle attività lavorative non viene spesso applicata: è opzionale e a discrezione delle aziende”, spiega Marco Omizzolo, sociologo Eurispes e presidente Tempi Moderni, esperto di migrazioni e sfruttamento dei lavoratori agricoli.
“Soprattutto in provincia di Latina, dove in questo periodo avviene la raccolta di cocomeri e la solarizzazione delle serre (sostituzione del rivestimento di plastica delle serre con un telo nuovo, N.d.R.), molti lavoratori – principalmente stranieri – sono svenuti nei campi. L’esposizione al caldo si combina con altri aspetti”, racconta Omizzolo, “come la fatica o attività manuali pesanti e pericolose. Per non sentire stanchezza e dolore, i braccianti sono costretti spesso ad assumere sostanze dopanti, come metanfetamine, oppio e antispastici”.
Questi svenimenti però non vengono presi sul serio dalle aziende: “Preferiscono risolvere con pratiche fai-da-te, come un bicchiere d’acqua o del caffè”, afferma Omizzolo, “così da evitare che l’ambulanza e gli operatori sanitari entrino nella struttura di lavoro e si rendano conto delle condizioni proibitive in cui sono costretti a lavorare i braccianti”.
Fino ad oggi il sociologo ha rilevato circa una ventina di svenimenti nei campi laziali, “ma si tratta di un dato sottostimato, che dev’essere almeno moltiplicato per dieci”.
Per combattere queste situazioni e risolvere il problema, spiega Omizzolo, da una parte è necessario che i lavoratori denuncino le attività scorrette delle aziende, dall’altra che le Regioni, come il Lazio, applichino le stesse delibere di sospensione del lavoro durante le ore più calde già attivate dalle Regioni del Sud, per tutelare i lavoratori.
Il sociologo registra inoltre una grave latitanza da parte della politica, sia da destra che da sinistra, sul tema: “Non se ne discute né nelle aule della politica né a livello di dibattito pubblico”. E a rimetterci sono le fasce professionali più deboli e a rischio, come i lavoratori poveri, precari o stranieri e le donne.
“Questa situazione amplifica lo stato di ricattabilità e di povertà dei lavoratori, che finiscono per fare più ore di lavoro rispetto a quelle previste da contratto, o che sono costretti spesso a lavorare a cottimo per sopravvivere o, nel caso dei migranti, per rinnovare il permesso di soggiorno”.
Massimo Pedretti, USB Logistica: “Il Governo dovrebbe imporre la cassa integrazione per il caldo. Non basta suggerirlo”
La situazione non è migliore nel settore logistico. Quando ci mettiamo in contatto con Massimo Pedretti di USB Logistica, nel magazzino dove si trova è appena svenuto un operaio.
“È arrivata ora l’ambulanza”, dice. “Abbiamo segnalazioni continue di lavoratori che si sentono male in questi giorni, ma le aziende non sembrano intenzionate a ridurre i carichi di lavoro. Abbiamo anche inviato loro una comunicazione preventiva sullo stress termico – continua – ma ci sono arrivate solo risposte formali, che certificano la presenza sui mezzi dell’aria condizionata e nei magazzini delle ventole di areazione”.
Di fronte all’emergenza climatica, però, queste misure non sono più sufficienti: “Questi lavoratori dovrebbero rimanere a casa con la CIGO – afferma Pedretti – ma questo non avviene perché i datori di lavoro non vogliono fermare la produttività”. Per USB il Governo dovrebbe imporre e aggiornare le norme esistenti: “Non basta il semplice suggerimento alle aziende di poter adottare determinate provvedimenti”.
Gli unici strumenti che hanno i lavoratori per far sentire la loro voce sono “gli scioperi, che però comportano una decurtazione dello stipendio” e “le denunce agli organi competenti e agli enti ispettivi, che però funzionano male per via della carenza cronica di personale”.
Sindacati e parti sociali chiedono interventi strutturali e misure urgenti. Ecco quali
In questi giorni i sindacati sono tornati più volte sul tema, chiedendo un intervento concreto da parte del Governo. Giovedì 20 luglio, CGIL, CISL e UIL hanno incontrato la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone, ma hanno bocciato il suo piano anti-caldo.
L’ex presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, ora titolare del dicastero di riferimento, aveva proposto lo smart working emergenziale, ma la misura è stata ritenuta inadeguata dalle parti sociali perché i problemi più gravi non riguardano chi lavora in ufficio, ma chi si trova per strada o sotto il sole.
Per Ivana Veronese, segretaria confederale UIL, è necessario un decreto d’urgenza per fermare le attività lavorative quando si oltrepassano i 32-33 gradi: “La situazione è drammaticamente urgente nell’edilizia, nei cantieri stradali, nell’agricoltura, nella logistica e non solo per i rider. Non si possono attendere le decisioni delle aziende sul chiedere o meno la CIG. E intanto contare i morti”, ha dichiarato a Repubblica. Per USB, invece, la soglia dovrebbe essere abbassata ulteriormente a 30 gradi, come avviene in molti altri Paesi europei.
CGIL chiede più soldi in busta paga e semplificazioni burocratiche per la cassa integrazione ordinaria per gli eventi meteo estremi. Più cauta la posizione di Confcommercio, che propone di regolare gli interventi “sulle tipologie di attività nei singoli settori e in base alle mansioni svolte”.
USB e Rete Iside hanno avviato già da tempo una campagna sui rischi del caldo sul lavoro, chiedendo lo stop alle attività lavorative a rischio nelle ore più calde su tutto il territorio nazionale. Anche le Camere del Lavoro Autonomo e Precario (CLAP) chiedono l’applicazione di misure volte a minimizzare lo stress termico sia sul luogo di lavoro che per mezzo dello smart working, là dove possibile. USB ha inoltre inviato una richiesta urgente ai ministeri della Salute e del Lavoro e agli Organi di Governo competenti affinché dispongano tempestivamente la sospensione delle attività più a rischio, ma non hanno ancora ricevuto risposta.
Un’altra lettera è stata recapitata sempre da USB alle aziende, nella quale si chiedono, tra le altre cose, “modifiche a livello di organizzazione e turnazione del lavoro, riduzione dei carichi di lavoro, un aumento delle pause per il recupero psico-fisico dei dipendenti, la fornitura di un abbigliamento adatto alle alte temperature e la sorveglianza sanitaria dei lavoratori fragili rispetto al rischio da stress termico. Inoltre, abbiamo chiesto alle aziende di trasporto e logistica di garantire a chi lavora su i mezzi la possibilità di re-idratarsi adeguatamente”, dichiara Francesco Tuccino di USB.
“Sono tutte misure ovvie e di buon senso, che non vengono spesso messe in pratica, ma che il datore di lavoro ha il potere di mettere in atto subito.”
Photo credits: tio.ch
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