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Coronavirus: pulisci tu sennò mi ammalo io
Spesso ci passano accanto e noi ci scostiamo per consentire loro di operare meglio. Poi si allontanano e neanche ricordiamo le loro facce. Quando mancano, però, ce ne accorgiamo subito. Sono gli addetti alle pulizie nel trasporto pubblico, ai tempi del coronavirus. A prescindere da ogni disposizione, nazionale o locale, temporanea o indeterminata, a loro […]
Spesso ci passano accanto e noi ci scostiamo per consentire loro di operare meglio. Poi si allontanano e neanche ricordiamo le loro facce. Quando mancano, però, ce ne accorgiamo subito.
Sono gli addetti alle pulizie nel trasporto pubblico, ai tempi del coronavirus. A prescindere da ogni disposizione, nazionale o locale, temporanea o indeterminata, a loro viene chiesta un’attenzione particolare nello svolgere questo mestiere, divenuto d’un tratto potenzialmente pericoloso per la loro salute. “Riflettendoci – dice Ivano Traverso, segretario regionale trasporti aereo Fit–Cisl del Veneto, una delle due regioni più colpite – è come se chiedessimo loro di gettarsi tra le fiamme, perché dopo di lì ci devo passare io”.
E in effetti viene chiesto loro di essere di fatto i veri eroi, dentro e anche fuori dalle zone rosse, affinché queste non si dilatino. Ma non sono volontari. Non sono medici. Non sono operatori della Protezione Civile né Vigili del fuoco. Sono “solo” addetti alle pulizie, in quei luoghi – stazioni dei treni, dei bus, metropolitane, aeroporti – in cui tutti passiamo, e tutti con un bagaglio personalissimo: un incubatore fisiologico di germi, batteri, virus dormienti di cui possiamo essere inconsapevoli portatori sani. E loro sono lì. Chi li tutela? Quanto possono sottrarsi alla loro mansione, in una selva di provvedimenti dell’ultima ora che l’attimo dopo sono obsoleti e quindi superati.
Nella schizofrenia di competenze giuridiche ripartite tra chi se ne lava le mani (e non per evadere il virus), chi sa davvero il suo mestiere e se necessario lo fa anche per 30 ore di fila (il personale sanitario), e chi ci si è trovato dentro senza capire come (ma dato che c’è sfrutta la vetrina che poi chissà quando ricapita), c’è chi sta ai piani bassi, e subisce. Bassi, ma cruciali. Certo non hanno il fascino di George Clooney in ER, quando salva le vite. Ma mettono potenzialmente a repentaglio la loro; non in camice bianco, ma colorato. Usano guanti, maschere e potenti antibatterici, per tutelare quanto più possibile e comunque molto più del solito, la salute di chi viaggia col mezzo collettivo.
Gli addetti alle pulizie nel cuore del pericolo: “Gli viene chiesto di buttarsi tra le fiamme perché dopo ci dobbiamo passare noi”
Dice Traverso: “Va detto che la condizione particolare che stiamo vivendo ci porta a dover seguire ogni giorno disposizioni ‘temporanee’, proprio perché seguono l’evoluzione della situazione. Non esiste ‘la’ regola, ma esistono i fatti in base ai quali si prendono decisioni concordate con il datore di lavoro. Naturalmente questo vale quando non ci sono indicazioni nazionali. Poi ricordiamo che un conto è parlare di infortunio sul lavoro, altra cosa è un danno causato da quanto sta succedendo. Questo è un ‘accessorio esterno’, come può esserlo il lavoratore che mentre sta andando al posto di lavoro scivola sul ghiaccio e si fa male. Il virus appunto è ‘non previsto’. Ed ecco che non è previsto, per fare un esempio, che il barista della caffetteria dell’aeroporto, nel normale svolgimento delle sue mansioni, debba indossare la mascherina. Può però farlo, anche solo perché così facendo si sente più tranquillo. Attualmente, di fatto, il regno è libero. Quindi chiunque può indossare la mascherina, chirurgica o con il filtro, ma attenzione: il datore di lavoro non lo impedisce e non lo prescrive. E questo vale per chiunque lavori all’interno dell’aeroporto”.
Sono state prese misure particolari per alcuni lavori specifici.
Be’, sì. Prima fra tutti per gli addetti alla pulizia degli aeromobili, che a logica, se ci pensiamo, è il lavoro più a rischio. Al termine di un volo, queste persone entrano per prime, dove oltre cento passeggeri provenienti da ogni dove, magari dopo aver fatto scali precedenti, hanno respirato per tutto il tempo del volo, con il consueto sistema di ventilazione che c’è negli aerei. Qui l’azienda ha deciso, ma in modo del tutto arbitrario, non per seguire qualche disposizione dall’alto, di fornire agli addetti alle pulizie non solo le mascherine ma addirittura degli scafandri. Ripeto: non esiste obbligatorietà, perché non stiamo parlando, per fare un esempio, delle scarpe antinfortunistiche. Lì sì che il datore di lavoro ti deve obbligare a indossarle, perché altrimenti metti in pericolo la tua incolumità: la legge lo impone. Nel caso del virus non è prescritto e non è proibito.
Il personale come ha reagito?
Tutti hanno aderito alla proposta e indossano la protezione. Come sempre c’è qualcuno che si lamenta, come nel caso delle mascherine: c’è chi la mal sopporta perché dice di sentirsi soffocare, ma tutti si sono adeguati. Altro provvedimento che come sindacato abbiamo ottenuto con una mediazione è una speciale protezione per il personale addetto ai bagagli smarriti. In particolare, per quanti devono fronteggiare i passeggeri che a loro si rivolgono, e che in genere sono agitati e innervositi per il disguido, sono stati montati dei pannelli di plexiglass davanti ai banconi, a garanzia di quel metro di distanza consigliato tra persona e persona. Questo è stato il frutto di un processo che condividiamo insieme all’azienda, al Ministero della Salute e dei Trasporti, perché, va ricordato, l’aeroporto è del demanio, che è gestito dal Ministero dei Trasporti. Quindi qualsiasi cosa venga decisa dentro l’aeroporto non passa dal comune o dalla regione, ma dal ministero. Faccio sempre l’esempio del datore di lavoro: se il mio è il Ministero dei Trasporti, e quello della Salute mi impone dei provvedimenti, io lo ascolto, ma prima di agire devo sentire quello che è, e resta, il mio datore di lavoro. Quanto stiamo facendo è un passo avanti rispetto alla garanzia della salute del cittadino, grazie alla sensibilità delle parti sociali e dei datori di lavoro, perché si è compreso che era necessario compendiare la legge. In aeroporto comanda la Prefettura e il Ministero dei Trasporti, ma se le indicazioni cambiano in base all’evoluzione dei fatti, è necessario muoversi in sintonia. Sono coinvolti decine di enti e migliaia di lavoratori a livello nazionale. Immaginiamo, solo per dirne una, i pronto soccorso aeroportuali. Prima di tutto deve venire la salute del cittadino, senza creare disparità o problemi.
Quali sono le figure più a rischio nel quotidiano?
Il personale dei treni, del bar, delle stazioni. Tutti gli addetti alle pulizie del personale del trasporto pubblico. È il settore più critico. Pensiamo a chi pulisce i bagni nelle stazioni ferroviarie, a chi serve il caffè del mattino. A tutti loro in questa fase chiediamo di più. Di usare prodotti per la pulizia specifici, disinfettanti. Di avvalersi di dispositivi di protezione individuali. Di passare il bancone più spesso, che sia quello del check-in o del bar di una piccola stazione ferroviaria, o della biglietteria dei bus. Delle corriere. Pensiamo a chi pulisce la toilette delle stazioni. L’istante dopo la pulizia entra un passeggero e tecnicamente è di nuovo sporco, cioè non più appena pulito. Perciò dico che, se guardiamo la cosa con cinismo, è come se ognuno di noi chiedesse al personale delle pulizie di gettarsi tra le fiamme, perché dopo ci dobbiamo passare noi. Effetto virus.
In generale, quale sentimento percepisce tra i lavoratori?
Direi di disorientamento. Non ci aiuta, del resto, il fatto che chi sta sopra di noi, a tutti i livelli, non abbia una posizione. La situazione cambia continuamente, come ho premesso. E quindi una posizione non c’è.
Foto di copertina: lagazzettaaeroportuale.it
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