Il deficit di iscritti ai corsi di laurea in infermieristica in Italia tocca in media il -10%, aggregato di -12,6% al Nord, -15% al Centro e -5,7% al Sud. Secondo FNOPI si tratta del rapporto più basso tra domande e posti disponibili mai registrato nel Paese: alcuni atenei non hanno neppure raggiunto il numero minimo di posti a bando tra gli iscritti, rendendo superfluo un test di selezione che fino a un decennio fa era affollatissimo.
Su questo dato si innesta la carenza endemica di infermieri che affligge l’Italia già da diversi anni, e che neanche la lezione del COVID-19 è riuscita a mitigare: se il personale infermieristico aveva visto una contrazione di 8.397 unità nel decennio 2009-2019 (secondo i dati dell’Annuario SSN del ministero della Salute), con la pandemia sono stati reclutati 31.990 infermieri, dei quali però solo 8.757 hanno beneficiato di un contratto a tempo indeterminato.
L’Italia, tuttavia, era già in debito di professionisti sanitari; un debito che si realizza nei confronti della popolazione se il rapporto di infermieri ogni mille abitanti nel 2021 era pari a 6,2 contro una media OCSE di 8,8 – comunque non sufficiente a garantire un servizio ottimale (fonte: rapporto Health at a Glance 2021 dell’OCSE).
Tradotto in numeri, il calcolo restituisce per esteso il senso di una mancanza in cui siamo immersi fino al collo: secondo il Censis, nel 2021 in Italia mancavano circa 57.000 infermieri considerando l’Emilia-Romagna come riferimento; se il benchmark si sposta sulla situazione di Paesi dall’assistenza infermieristica più virtuosa, come il Regno Unito, il deficit sale a circa 300.000 unità.